Il cuore nero di San Valentino: lo sfruttamento nella filiera dei fiori
14.02.2023
Regalare un fiore è uno dei modi più belli e usuali per esprimere amore, gratitudine, affetto o simpatia nei confronti di persone care. Oggi, giorno di San Valentino, il fiore più regalato è sicuramente la rosa rossa.
Raramente, però, ci chiediamo da dove venga quella rosa che compriamo in un negozio o anche – vista la frenesia quotidiana – per strada, dal venditore più o meno occasionale.
Molti di noi pensano ancora che la maggior parte dei fiori da taglio che si vendono in Italia vengano prodotti nel nostro Paese. Ma, nonostante la nostra bella tradizione in questo campo, per quanto riguarda le rose è più probabile che queste vengano dai Paesi del Sud del mondo. Posti non certo all’avanguardia per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e la tutela ambientale.
Si, perché dietro quei petali rossi stupendi ci sono troppo spesso storie di sfruttamento, in un mondo dove si fa fatica a globalizzare i diritti, ma viene di certo più facile produrre una rosa a migliaia di chilometri di distanza, metterla su un aereo e farla arrivare in poche ore al fioraio sotto casa nostra.
La maggior parte delle rose vengono prodotte da multinazionali in Kenya, nella regione di Naivasha, sulle sponde dell’omonimo lago. Le sue acque sono usate per l’irrigazione delle coltivazioni. Il clima caldo abbatte i costi di riscaldamento delle serre. Il resto lo fa la manodopera a bassissimo costo del luogo. Circa 150.000 lavoratori e lavoratrici impiegate nel settore, che nel paese africano genera ben l’1% del PIL nazionale (Dati del Kenya Flower Council).
Migliaia di persone con la schiena curva per ore ed ore, a curare quelle rose bellissime, che lavorano a fronte di paghe bassissime. Le donne spesso sono vittime di abusi e quelle in gravidanza non sono tutelate in caso di licenziamento.
Precarie sono anche le normative sull’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Vengono usati molti pesticidi, dai quali i lavoratori non vengono protetti adeguatamente. Tanti operai sono assunti a termine (cd casual) e neanche sanno che fine fanno le rose che producono. Non sono rari gli episodi di violenza sia fisica che psicologica.
Ma a soffrire non è solo chi lavora; anche l’ambiente paga un prezzo importante. L’uso massivo di pesticidi, infatti, avvelena le acque del lago, anche perché la depurazione è scarsa. Ciò comporta inevitabili problemi non solo per l’esser umano, ma anche per gli animali che vivono in quei luoghi.
Per coltivare una rosa, inoltre, si calcola che siano necessari almeno 9 litri di acqua che all’anno possono arrivare complessivamente a 47 miliardi di litri. Una enormità, in una situazione in cui il livello delle acque del lago di Naivasha scende pericolosamente per l’iper-sfruttamento.
Ma non è solo il Kenya a produrre rose. La Colombia, per esempio, è il secondo esportatore mondiale di fiori recisi dopo l’Olanda. USA e Canada le destinazioni principali. Purtroppo, anche qui le condizioni del lavoro sono pessime sia sotto l’aspetto salariale che di sicurezza. Per via di quest’ultimo problema, si è riscontrato un preoccupante aumento delle malattie respiratorie per gli occupati nel settore.
Esportatori di rose sono anche l’Ecuador, l’Etiopia, l’Uganda e la Tanzania. Ma al variare dei luoghi non cambiano le condizioni di lavoro in maniera sostanziale.
Per quanto riguarda l’Europa, se l’Olanda ha perso il primato per l’estensione di piantagioni di rose, rimane il più importante centro di smistamento di fiori recisi del continente.
Gli aerei contenenti fiori atterrano ad Aalsmer, dirigendosi poi verso i luoghi dove si tengono le aste. Tra questi c’è Flora Holland, uno dei più importanti ed in cui, a seconda della stagione, i fiori vengono venduti da un minimo di 8 centesimi a un massimo si 25 euro.
A questo punto verrebbe da chiedersi: cosa può fare ognuno di noi, quando acquistiamo un fiore bellissimo ma i cui petali nascondono non poche sofferenze? In fondo, basta una piccola attenzione: ovvero, scegliere rose certificate “Fair Flowers Fair Plants”. Attraverso questa attestazione c’è maggiore garanzia sulle condizioni di lavoro di chi ogni giorno sta con la schiena curva nei campi e nelle serre.
Ogni singolo gesto può produrre una sorta di “effetto farfalla”. Ovvero, quei “piccoli comportamenti” reiterati che possono generare grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.
Farlo è giusto, perché è un atto d’amore.
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