I metalmeccanici non si arrendono al declino industriale
14.08.2023
Cinquantasette, cinquantamila, settantatremila.
Non sono numeri a caso, ma i dati principali che rappresentano la situazione complicata in cui si trova il settore metalmeccanico: una desertificazione progressiva e inarrestabile frutto della mancanza annosa di politiche industriali, programmazione, strategia, investimenti, idea di Paese.
57: I TAVOLI DI CRISI
Il primo dato si riferisce ai tavoli di crisi aperti al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Secondo quanto riferito dal Ministro Urso, infatti, sono aperti 57 tavoli di crisi, di cui 34 attivi e 23 di monitoraggio, in totale quasi il 70% riguarda il settore metalmeccanico.
Negli ultimi anni, abbiamo ascoltato numerose dichiarazioni dei vari Ministri che si sono avvicendati, nelle quali ognuno dava conto delle crisi aperte e ogni volta si notava una diminuzione. Si è partiti dalle 149 del 2019 alle attuali 57, quasi cento in meno in quattro anni.
Un dato che è solamente, purtroppo, un’illusione ottica perché il Ministero ha deciso di considerare nel conteggio solamente le vertenze di aziende con oltre 250 dipendenti.
50 MILA: I LAVORATORI COINVOLTI
Cinquantamila, invece, sono i lavoratori metalmeccanici interessati dalle crisi aziendali, che vanno dalla vertenza dell’ex Ilva che coinvolge 20 mila lavoratori tra diretti, indiretti e in Amministrazione straordinaria, all’ex Lucchini di Piombino fino all’ex Alcoa, Wartsila, ex Whirlpool Napoli e molte altre.
Si tratta di crisi aziendali aperte da anni, fino a dodici come nel caso dell’acciaieria tarantina, con lavoratori che si trovano in una condizione di incertezza permanente, impossibilitati di programmare la propria vita familiare e professionale.
Settori chiave come la siderurgia, l’automotive e l’elettrodomestico, considerati solo a parole strategici, sono stati destinatari di tavoli ministeriali inconcludenti e richieste sindacali inascoltate per tutelare l’occupazione, i diritti e il salario dei lavoratori. Un atteggiamento e un metodo che abbiamo contestato duramente e che riteniamo inaccettabili.
In ogni occasione di incontro con il Ministro abbiamo posto al centro il rilancio industriale, l’occupazione, gli investimenti, una transizione ecologica socialmente sostenibile e la risoluzione delle crisi aperte. Ma abbiamo ricevuto solamente rinvii di decisioni fondamentali, come nel caso della sfida epocale della transizione ecologica, oppure silenzio alle nostre richieste di incontro.
LO SCIOPERO NAZIONALE
Per queste ragioni il 7 e 10 luglio abbiamo indetto 4 ore di sciopero nazionale insieme a FiM e Fiom. La prima data ha riguardato le regioni Centro e Nord Italia mentre la seconda ha riguardato il Centro e Sud. Abbiamo registrato un’alta adesione dei lavoratori fin dall’inizio del primo turno, in tantissime fabbriche i lavoratori hanno incrociato le braccia, fermando la produzione e formando innumerevoli presidi davanti ai luoghi di lavoro e in molti casi davanti alle Unioni degli industriali locali e alle Prefetture.
Il nostro sistema industriale è nelle mani di gruppi stranieri. La siderurgia nelle mani degli indiani, gli elettrodomestici nelle mani di americani e svedesi e l’automotive nelle mani dei francesi.
AUTOMOTIVE E TRANSIZIONE ECOLOGICA
La filiera dell’auto in Italia interessa oltre 280 mila lavoratori e, nonostante negli ultimi mesi stiamo registrando una ripresa della produzione di auto con +15%, dobbiamo registrare che negli ultimi venti anni c’è stata una diminuzione del 70%, passando da 1,4 milioni a poco più di 400 mila nel 2022. Questo ha avuto ripercussioni sugli stabilimenti italiani e se l’approccio non cambia gli effetti saranno devastanti, in particolare rispetto agli effetti di una transizione ecologica non gestita.
73 MILA: I POSTI DI LAVORO A RISCHIO
E arriviamo al terzo dato: 73 mila. Sono i posti di lavoro a rischio nella filiera automotive in caso del perdurare dell’assenza di strategia, progetti e programmazione per affrontare il cambiamento epocale rappresentato dalla transizione ecologica.
Sappiamo che non sarà indolore e che provocherà una diminuzione di posti di lavoro, ma dobbiamo dire forte e chiaro che la data del 2035 non è derogabile e riteniamo sbagliato illudere le persone e i lavoratori che quella data possa essere spostata in avanti, con invenzioni di soluzioni alternative come biocarburanti, sintetici o idrogeno che al momento non hanno possibilità di successo. Bisogna lavorare fin da subito per recuperare il tempo perso.
Mentre in Italia, infatti, si continua a parlare se sia giusta o meno la transizione ecologica, molti Stati europei stanno mettendo in campo corposi investimenti e progetti tecnologicamente avanzati nella decarbonizzazione ed elettrificazione. Oggi non c’è più il pericolo della mancanza di microchip e materie prime dall’Asia come abbiamo registrato durante la pandemia ma avremo il mercato dell’auto invaso da macchine elettriche prodotte in Cina, che costeranno molto meno di quelle prodotte in Italia. Una condizione che non può essere risolta dall’antistorica riapertura delle miniere, chiuse da decenni, con impatti ambientali devastanti. Bisogna puntare sull’economia circolare, sul riuso e riciclo, sulla ricerca e sviluppo di nuove tecnologie. Bisogna guardare il futuro con nuove idee e proposte e non con vecchi schemi ormai superati.
LUNGA MOBILITAZIONE
Lo sciopero nazionale del 7 e 10 luglio ha rappresentato solamente l’inizio di una lunga mobilitazione in assenza di risposte concrete dal Governo. I lavoratori chiedono un futuro di lavoro e non di assistenza, un futuro che veda la manifattura affrontare e vincere le sfide che abbiamo già di fronte, certezze per una parte d’Italia che troppo a lungo è stata inascoltata.
Abbiamo la necessità di ascoltare meno annunci e vedere più fatti concreti, di tavoli che portino a soluzioni e non siano formalità, di utilizzare ogni minuto a disposizione per cercare e condividere le migliori soluzioni per risolvere le crisi e risollevare l’industria. In questi anni si è perso già troppo tempo, ora il Governo deve agire e i lavoratori in sciopero hanno mandato un chiaro messaggio. I prossimi mesi ci vedranno protagonisti nei prossimi mesi e ci fermeremo solo se avremo ascolto, condivisione e risposte definitive e attuabili dal Governo. Non possiamo più aspettare.
Ufficio Comunicazione UILM
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