GRAND HOTEL ABISSO, di Stuart Jeffries
01.10.2023
Il giornalista del Guardian Stuart Jeffries ha scritto un bel libro sulla Scuola di Francoforte. Ero pronto a sopportare un ruvido contropelo, perché mi aspettavo che l’autore vedesse nella storia dell’Istituto di ricerca sul marxismo una vicenda ricca di insegnamenti validi anche per il futuro – che è comunque quanto più o meno afferma al termine delle 444 pagine. E invece, Jeffries spesso perde la pazienza, soprattutto con Adorno, e il racconto è molto più mosso e contraddittorio di quanto non pensassi. Letto con piacere (ma – come detto – ero pronto anche al contropelo).
Intanto, la scelta del nemico. In un periodo in cui stanno arrivando – sono arrivati – nazifascismo e comunismo sovietico, i bersagli contro cui Horkheimer spara sono positivismo, empirismo, pragmatismo. Lo stesso Horkheimer e Adorno, in quanto ebrei, dovranno fuggire in America per mettersi in salvo da Hitler, cosa che non riuscirà al povero Benjamin, ma d’Oltreoceano seguiteranno a dire di non vedere differenze tra nazismo, stalinismo e capitalismo!
I genitori di Adorno riuscirono a sbarcare in America nel gennaio 1940, al fine di mettersi in salvo. Ma il figliolo, che li aveva preceduti, manda loro un messaggio di benvenuto, accompagnato dalle sue critiche verso gli Stati Uniti che li accolgono.
Anche Brecht, che per gli stessi motivi era fuggito in California per scampare ai lager, descriveva la sua nuova patria come un inferno. Il Terzo Reich come Los Angeles/Hollywood! “Non è ridicolo?”, si chiede giustamente Jeffries.
I traditori della rivoluzione
Per il resto, i rapporti tra Brecht e la truppa dei Francofortesi erano pessimi: Brecht li considerava traditori della rivoluzione. Secondo il drammaturgo perché Adorno e compagni avevano rovesciato l’undicesima Tesi su Feuerbach di Marx – quella per cui “i filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo” – e si stavano dedicando esclusivamente alla speculazione interpretativa dello scibile senza accennare alcuna azione verso il cambiamento. I Francofortesi, di contro, replicavano dandogli del vanitoso piccolo-borghese stalinista.
Benjamin, dal canto suo, condivideva buona parte dell’incapacità di Adorno e Horkheimer di operare distinzioni tra i totalitarismi e il capitalismo. Ma cosa non sopportava la Scuola di Francoforte dell’America? Non sopportava che quella società fosse “orribilmente tesa alla realizzazione della felicità individuale”. Non per niente, Benjamin lodava il comunitarismo di Napoli, che non distingueva troppo tra pubblico e privato (anche se l’abolizione bolscevica della vita privata lo turbò). Benjamin nella vita pratica viene descritto dall’Autore del libro come un imbranato: chiedeva denaro ai genitori ancora quando era ben più che trentenne, e nelle sue lettere alla mamma e al papà sottolineava con insistenza che “la loro insistenza perché si guadagnasse da vivere era inqualificabile”. Ma Benjamin è anche autore di pagine, idee e concetti originali seducenti, dall’angelo della storia – dipinto da Paul Klee – che avanza verso il futuro dandogli le spalle alle potenzialità democratiche delle nuove tecnologie in rapporto all’arte.
Anche se per Adorno e Horkheimer la libertà occidentale era una pura chimera, ogni tanto affiora un po’ di realtà, e i due riconoscono, negli anni Cinquanta, di aver goduto in Occidente di “libertà di pensiero paradisiaca”.
Tale consapevolezza non li aveva assistiti durante la stesura della Dialettica dell’Illuminismo, nel 1947. Se per Kant l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, il quale è da imputare a lui stesso, per Adorno e Horkheimer l’Illuminismo è una prigione; “la discesa dell’umanità – scrivono in un passo incommentabile – inizia con Bacone, continua con Kant, culmina con Hitler”.
Classe operaia e sindacato
Ad Adorno, Horkheimer e Marcuse, non piacevano né la classe operaie e né tantomeno il sindacato. Su questo, erano in sintonia con Lukàcs, che distingueva tra la coscienza di classe attribuita al proletariato e quella reale, per concludere che è il partito comunista che sa cos’è bene per la classe operaia, mentre il proletariato non conosce le proprie necessità reali. Concetto non tanto lontano da Gramsci, che aveva salutato con entusiasmo la rivoluzione bolscevica come rivoluzione contro Il Capitale di Marx, perché la soggettività del partito fatto di rivoluzionari di professione era stata realizzata nonostante in Russia (durante la Rivoluzione d’Ottobre) mancassero le condizioni di sviluppo ritenute la premessa indispensabile, a partire da un’ampia classe operaia, perché si instaurasse il comunismo attraverso la violenza.
Nessuno della Scuola di Francoforte riponeva speranze nella classe operaia, giudicata ormai integrata nel sistema capitalistico e in preda a un consumismo sfrenato per soddisfare bisogni non necessari. E così, mentre in America il grande sindacalista Walter Reuther a partire dall’accordo General Motors-UAW del 1950, che verrà chiamato con giusta enfasi il Trattato di Detroit (con dentro pensioni, salute, difesa dall’inflazione, salario di produttività), apriva la strada alla creazione della più vasta e ricca classe media dell’Occidente, i pensatori della Scuola di Francoforte – ospiti in America – riuscirono a non accorgersi di processi così significativi che si svolgevano sotto i loro occhi.
A fronte di questi disastrosi cortocircuiti cognitivi, un gran lavoro di riposizionamento dell’Istituto francofortese ha fatto Jürgen Habermas, moderando estremismi e recuperando buon senso. Apprezzabile che Habermas sia riuscito a condurre la sua lotta ideologica su due fronti: da un lato contrastando posizioni come quelle di Nolte, che, insistendo su una sorte di rapporto di causa-effetto Gulag-Lager, finiva con il rendere Auschwitz qualcosa di non eccezionale; dall’altro difendendo i valori della modernità contro i post-modernisti irrazionalisti e nichilisti come Lyotard, Foucault, Derrida (nonché correggendo i suoi “compagni di viaggio”, Adorno, Horkheimer e Marcuse). L’approdo è riformista: Adorno non sarebbe stato d’accordo, ma l’allievo di Habermas, Axel Honneth, chiarisce che l’obiettivo non è (più) fare la rivoluzione, ma migliorare il capitalismo e la democrazia.
Roberto Campo
Articoli Correlati
L'Appunto
di Pierpaolo Bombardieri
26.11.2024Categorie
I Più Letti
La quattordicesima mensilità (o tecnicamente “somma aggiuntiva”) è una prestazione che l’INPS eroga d’ufficio ogni anno, solitamente nel mese...
L’Estratto Conto Certificativo (ECOCERT/ECOMAR) è un documento che attesta i contributi che un lavoratore ha versato durante la sua...