Gli italiani e la voglia di studiare
06.03.2023
Mai come ora la scuola ha bisogno di risorse. Riportare i ragazzi a scuola significa far funzionare bene la scuola. In Italia ci si ferma troppo spesso alle scuole medie, si va poco al liceo e ancora meno all’università. In sostanza, si studia poco. Ad affermarlo è il rapporto 2022 dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, denominato “Lavoro e Formazione: l’Italia di fronte alle sfide del futuro” e realizzato su un campione di 45mila cittadini dai 18 ai 74 anni.
Qualche numero. Sono 11,7 milioni gli italiani, più uomini (62%) che donne (38%), che non si sono mai iscritti alle scuole superiori e quasi 4 milioni si sono fermati alle scuole medie. A fronte di quasi 11 milioni di cittadini che acquisito il diploma non hanno proseguito gli studi, esistono 5 milioni di diplomati che si sono iscritti a percorsi universitari senza portarli a termine, con un dispendio significativo di tempo e di risorse.
Secondo i dati dell’INAPP, nel 2021 la quota di italiani che ha conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado era pari al 62,7%, incrementata di +0,9% rispetto al 2018, ma comunque inferiore di oltre sedici punti percentuali rispetto alla media Ue 27 (79,2%).
SEMPRE MENO ITALIANI SI ISCRIVONO ALL’UNIVERSITÀ E I GIOVANI SONO 3 VOLTE MENO OCCUPATI DEGLI OVER 50
Come detto in precedenza, oltre 4 italiani su 10, tra i 18 e i 74 anni, si sono fermati alla licenza media. C’è un altro dato che allarma. I laureati, nel nostro Paese, risultano appena il 14% della popolazione complessiva, quasi la metà rispetto ai paesi più sviluppati dell’Unione Europea.
Sono 11 milioni gli italiani, come già sottolineato, che hanno scelto di non frequentare alcuna facoltà universitaria, mentre il numero di studenti che, una volta iscritti, non concludono il percorso universitario si attesta a 5 milioni.
L’indagine ci mostra, inoltre, quanto l’accesso al mondo del lavoro per i giovani sia ancora troppo tortuoso e complesso. Sotto i trent’anni solo 1 giovane su 5 ha avuto una occupazione ma va pur detto che il 50% degli intervistati è ancora impegnato nel suo percorso di studi. Ogni 100 persone con un titolo di studio superiore, 77 hanno il diploma (1/3 ha un diploma tecnico e un altro 1/3 un liceo) e 23 la laurea (e di questi 4 hanno pure un master o un PhD). Il 50% di chi ha conseguito un diploma liceale ha preso una laurea.
I GIOVANI NON HANNO VOGLIA DI STUDIARE: UNA BUFALA
Rapporti come quelli dell’INAPP dovrebbero invitare media e cittadinanza a riflettere su come poter migliorare le cose. Invece, molto spesso, ci si nasconde dietro una frase, troppo facile e profondamente sbagliata. Quale? Che i giovani non hanno voglia di studiare. È una bufala.
I veri motivi che portano alla dispersione scolastica sono principalmente socioeconomici.
Povertà della famiglia, del territorio di origine, mancanza di strutture sul territorio, differenze culturali o di genere, incertezza delle prospettive occupazionali. Sono queste le cause che spingono sempre più ragazze e ragazzi ad abbandonare gli studi.
Per invertire questa tendenza, l’unica possibilità è quella di investire sulla scuola e sull’educazione. Come? Rendendo stabile il lavoro di chi la anima ogni giorno, qualificando le professionalità e coprendo le migliaia di posti vacanti – in Italia ci sono oltre 250 mila precari – con organici stabili.
Riportare i ragazzi a scuola significa far funzionare bene la scuola. Come sottolinea sempre più spesso la Uil Scuola Rua, al mondo dell’istruzione serve più tempo. Servono istituti aperti, anche di pomeriggio e almeno il sabato. Per farlo occorrerebbe investire di più nell’Istruzione e ripristinare i 200 mila docenti e i 50 mila Ata ad oggi precari. Orientamento, investimenti nella scuola, sostegno ai più fragili sono attività da sostenere per garantirsi nuove generazioni integrate e adeguate ai tempi, sia come cittadini sia come lavoratori
MAI COME OGGI, INVESTIRE SULLA SCUOLA DEVE ESSERE UNA PRIORITÀ DEL PAESE. E IL PNRR È UN’OCCASIONE DA NON SPRECARE PERCHÈ NON TORNERÀ PIÙ
La lotta alla dispersione, problema concentrato soprattutto al Sud Italia, passa poi inevitabilmente dal PNRR. Al Sud si fa scarso ricorso al tempo pieno, probabilmente per fattori culturali, ma soprattutto economici e infrastrutturali: mancano mense, palestre e infrastrutture. Il risultato è che le famiglie risultano essere scoraggiate nella richiesta.
Il PNRR doveva segnare una svolta, ma finora ha portato solo ad un sovraccarico del lavoro di tutto il personale della scuola. Avrebbe dovuto aiutare a gestire, grazie alle ingenti risorse, la lotta alla dispersione e all’abbandono scolastico. Finora, niente di tutto questo.
Concludiamo il nostro focus sulla dispersione con un appello: mancano ancora tre anni alla fatidica scadenza PNRR. C’è ancora tempo per modificare modalità e strumenti di intervento per colmare i divari con riferimento soprattutto alla scuola. Bisogna agire in modo puntuale, plesso per plesso.
Ufficio Comunicazione UIL Scuola
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