Gli effetti della guerra in Ucraina sul settore automotive: crisi sempre più profonda

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18.05.2022

Il settore dell’automotive in Italia non riparte. Una crisi profonda che si protrae ormai da due anni; dopo essere stato in stand-by a causa della pandemia, si sono abbattute sul mercato dell’auto le inevitabili conseguenze del conflitto in Ucraina. C’è un altro fattore da tenere in considerazione. La mobilità diventa sempre più green, per cui il settore ha dovuto fare i conti anche con la domanda crescente di veicoli elettrici e sostenibili e l’impossibilità di poter sempre adeguare l’offerta.

CRISI AUTOMOTIVE: I DATI

Stando agli ultimi dati diffusi da Acea, associazione dei costruttori automobilistici europei, in UE, Paesi Efta e Regno Unito sono stati immatricolati ad aprile 830.447 veicoli: un calo del 20,2% rispetto allo stesso mese del 2021. Inoltre, durante i primi quattro mesi di quest’anno sono state vendute 3,583.587 automobili, che tradotto corrisponde a un meno 13% rispetto allo stesso periodo nel 2021. Ciò significa che parliamo di un fenomeno internazionale; il trend è sempre in negativo e non sembra ci siano segnali di ripresa che possano far ben sperare.

QUALI SONO LE CAUSE DELLA CRISI

Come anticipato, le cause di una crisi così profonda e inarrestabile sono da ricercarsi negli stop dovuti alla pandemia, che ha generato una forte carenza di chip, al conflitto in Ucraina e nel mercato che cambia in maniera repentina.

Ci riferiamo a un settore che è sempre stato tra i più produttivi e fortunati del nostro Paese. L’inflazione in crescita, i ritardi nella produzione e il cambiamento del quadro geopolitico non permettono previsioni ottimistiche.

Facciamo un’ulteriore riflessione che riguarda le auto di nuova generazione. Tale fattore si interseca con l’attuale mutamento dei mercati e degli accordi internazionali. Come segnala Giorgio Barbieri, Senior Partner di Deloitte e North & South Europe Automotive Leader, l’industria europea dipende in maniera importante da Russia e Ucraina per quel che riguarda alluminio, palladio e neon: tutti elementi necessari per la produzione di automobili elettriche.

Il The Guardian, due settimane fa, rilevava, attraverso una ricerca di “Compare The Market”, che la spesa complessiva annuale, in termini di alimentazione, di chi è in possesso di un’auto elettrica è inferiore di circa 600 sterline rispetto a chi guida una vettura a benzina. Questo considerato l’aumento dei prezzi del carburante, dettato dalla guerra in Ucraina.

IL FUTURO È ELETTRICO, MA IL SETTORE È IN AFFANNO E NON STA AL PASSO CON LA DOMANDA

In sostanza, pandemia e conflitto hanno da una parte accelerato il processo di conversione all’elettrico; dall’altra, hanno alterato l’equilibrio di rifornimenti e produzione delle case automobilistiche.

L’Europa guarda a un futuro del settore volto a ridurre l’impatto sull’ambiente. L’obiettivo, stando al voto dell’11 maggio in Commissione Ambiente del Parlamento europeo sugli standard di anidride carbonica (CO2) per automobili e camion di nuova produzione, è arrivare al 2035 a zero emissioni.

Serviranno, però, tenendo conto dell’attuale situazione, interventi concreti e decisivi. Non basteranno bonus e incentivi, come quello inserito in Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 maggio. Ma si dovrà intervenire per permettere alle fabbriche e a tutte le componenti del settore una ripresa efficiente e in grado di affrontare le sfide che l’attendono nel prossimo futuro.

In tal senso rappresentano un segnale positivo da parte del Governo la sigla sull’accordo per la costruzione della Gigafactory a Termoli e il varo di incentivi per le automobili meno inquinanti.

La UILM, attenta e puntuale sul tema, ha evidenziato l’importanza di questi primi passi. Tuttavia ha anche precisato che, in merito alla crisi degli approvvigionamenti si dovrebbe optare per la creazione di un’Agenzia degli Approvvigionamenti. Ciò in modo che si riesca a essere tempestivi sulle carenze produttive e a sostenere l’industria nazionale. Servirebbe inoltre una politica industriale nel settore automotive al pari di quelle dei grandi Stati europei. Così che si possa accompagnare la transizione energetica con incentivi al consumo strutturali e lineari con la vigente normativa sulle emissioni. Poi, ancora, utilizzando i fondi del PNRR e definendo ammortizzatori sociali a tutela dell’occupazione.

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