Giovanni Falcone e la potenza del ricordo

4' di lettura
Mi piace!
100%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

23.05.2023

Il 23 maggio del 1992, a Capaci, la mafia uccise in un attentato il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. 

 

In un tunnel sotto l’autostrada A29 furono nascosti 1000 chili di tritolo. La deflagrazione devastò l’asfalto e l’Italia intera. Fu il mafioso Giovanni Brusca ad azionare il telecomando a distanza che innescò l’esplosione; lo stesso mostro che uccise e sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito.

Cosa Nostra voleva attaccare lo Stato e coloro che combattevano da sempre e senza quartiere il fenomeno mafioso.  Di lì a poco, verrà ucciso un altro servitore dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata: il magistrato Paolo Borsellino. E attentati furono commessi anche fuori dalla Sicilia: a Roma, Firenze e Milano.

Giovanni Falcone ha dedicato la sua vita alla lotta alla mafia. Lo ha fatto innovando i metodi di indagine del fenomeno mafioso, soprattutto attraverso una maggiore e sistematica attenzione alle indagini patrimoniali e bancarie. “Segui il denaro troverai la mafia”, affermava. 

Fu inoltre uno dei primi ad utilizzare con profitto le relazioni instaurate con i colleghi magistrati stranieri, tanto che dette il suo fondamentale contributo all’inchiesta dell’FBI sul traffico di droga, passata alla storia come “Pizza Connenction”.

Il fatto di venire dal quartiere palermitano della Kalsa lo portava ad essere un attento conoscitore della mentalità mafiosa. Sapeva, come scrisse nel 1985, che il fenomeno mafioso è “un fattore destabilizzante della democrazia” e che la lotta contro di esso presentava all’epoca una “inadeguatezza di approccio [comportando questo] errori strategici e tattici nello studio e nell’attuazione delle misure più adatte” per la repressione del fenomeno. Ma aveva ben presente come in quegli anni “uno sparuto drappello di magistrati e di appartenenti alle forze di polizia ha cominciato, in più parti d’Italia, a impostare le indagini in modo finalmente adeguato alla complessità del fenomeno”. 

Il pool Antimafia

Ovviamente, qui c’è la questione fondamentale del progetto del pool antimafia, che nacque da un’intuizione di Rocco Chinnici e poi portato avanti da Antonino Caponnetto, che subentrò allo stesso Chinnici, assassinato in un tragico attentato il 29 luglio 1983. Pool formato dallo stesso Falcone con Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta. 

Approccio innovativo e organizzazione adeguata erano costanti nel modo di lavorare di Falcone, che sottolineava come “nella materia della criminalità organizzata, le principali difficoltà non sono di carattere legislativo. Si tratta [invece] delle solite questioni di organizzazione degli uffici, di carenza di mezzi e personale qualificato, che riguardano indubbiamente tutta l’amministrazione della giustizia, ma che nella repressione del crimine organizzato si esaltano”.

Il Comitato dei lenzuoli e il ruolo dei cittadini

Nella sua crudeltà, l’attentato di Capaci risulterà uno spartiacque rispetto dell’atteggiamento pubblico e istituzionale nei confronti delle mafie, esemplificato, tra l’altro, dalla nascita del Comitato dei lenzuoli, formato da cittadini palermitani che simbolicamente appesero ai loro balconi un lenzuolo bianco, simbolo di avversione e ribellione a Cosa nostra.

Un gesto certo semplice ma allo stesso tempo rivoluzionario, perché non scontato in quei luoghi dove il terrore mafioso vessava chiunque, e che fa il paio con un’altra mobilitazione palermitana: la catena umana che nel mese dell’attentato di Capaci unì simbolicamente l’abitazione di Giovanni Falcone e il Palazzo di giustizia di Palermo. 

La Convenzione di Palermo

Nell’ottobre del 2020, la Conferenza delle Parti sulla Convenzione Onu contro la criminalità transnazionale (nota come Convenzione di Palermo) approvò all’unanimità il documento italiano che pose l’eredità lasciata dal magistrato a fondamento della lotta alla criminalità organizzata; documento noto come “Risoluzione Falcone”.

Il giudice siciliano, infatti, aveva ben compreso il rischio che la criminalità organizzata potesse evolversi in una dimensione – più articolata e pericolosa – globale, difficilmente contrastabile senza il varo di norme che prevedessero l’impegno corale degli Stati. 

Quindi, con la “Risoluzione Falcone” si potenziava il contrasto alla dimensione economica della criminalità, secondo logiche di prevenzione e repressione inserite in una strategia di cooperazione globale. 

Il modo migliore per ricordare Giovanni Falcone e continuare la sua opera.

Articoli Correlati