Giorno del ricordo per le vittime delle foibe

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10.02.2023

Il Giorno del Ricordo è stato istituito attraverso la legge n. 92 del 30 marzo 2004 “con l’obiettivo di conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe; dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel dopoguerra e della complessa vicenda del confine orientale”.

Il 10 febbraio non è una data scelta a caso. Infatti, proprio in questo giorno del 1947 furono firmati i Trattati di Pace di Parigi, con i quali l’Istria, Quarnaro, Zara e una parte del territorio del Friuli Venezia Giulia veniva assegnato alla Jugoslavia.

Quando si celebra il Giorno del ricordo, di getto vengono in mente le foibe: squarci geologici del terreno, tipici delle aree carsiche, coperti da vegetazione, che le popolazioni slovene e croate del retroterra triestino usavano di solito per gettare ciò che non serviva più e di cui era difficile liberarsi diversamente, come vecchie suppellettili e carcasse di animali. Solo che, tra il 1943 e il 1947, furono la tomba di tantissime persone. Soprattutto italiani, ma non solo. I quali venivano “infoibati” brutalmente, o dopo essere stati fucilati o anche da vivi. Persone a volte legate tra loro con il filo di ferro, così che la caduta di uno provocava quella dei suoi compagni di sventura.

Siamo nelle tragedie della Seconda guerra mondiale, che purtroppo non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma come ha ricordato il presidente Mattarella “proseguirono nella persecuzione e nelle violenze, perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista”.

I massacri delle foibe

I massacri delle foibe – infatti – sono stati degli eccidi soprattutto ai danni di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia avvenuti durante e subito dopo il secondo conflitto mondiale, da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA (il Dipartimento per la Protezione del Popolo, parte dei servizi segreti militari jugoslavi).

Non tutte le vittime dei comunisti di Tito perirono nelle foibe. Buona parte di esse trovarono la morte nelle carceri e nei campi di concentramento jugoslavi; in un contesto di terrore dove il termine “fascista” era di fatto parificato a quello di italiano, e in cui esplosero rancori covati in un luogo di confine non solo geografico ma anche estremamente simbolico.

La storiografia distingue due ondate di infoibamenti. La prima risale al settembre del 1943, quando il fascismo cade e l’Italia firma l’armistizio con i tedeschi che occupano in un primo momento solo i centri ritenuti di importanza strategica come Trieste, Pola e Fiume. Mentre nell’Istria più interna il potere finì nelle mani delle formazioni partigiane titine. Insorsero anche i contadini dell’entroterra croato e la violenza venne indirizzata soprattutto verso podestà, segretari e messi comunali, carabinieri, guardie campestri, esattori delle tasse e ufficiali postali. Ma, a farne le spese, risultarono anche dirigenti, capisquadra e impiegati di imprese industriali o possidenti di latifondo, nonché figure rappresentative della comunità italiana (es. avvocati e levatrici).

Dal furore iniziale, la violenza divenne più programmata, al fine di “ripulire” il territorio, per eliminare ogni ostacolo alla affermazione di un nuovo corso politico. Non mancarono i linciaggi, così come le violenze sessuali.

La seconda ondata di violenze di massa iniziò a maggio del 1945, nel momento in cui le truppe jugoslave entrarono nella Venezia Giulia, perseguendo lo stesso obbiettivo: eliminare chiunque si potesse opporre all’egemonia del Maresciallo Tito. Tanto che non mancarono numerosissime vittime anche tra croati e sloveni non in linea con i comunisti.

Una brutalità a lungo negata 

Non c’è dubbio che i motivi di tanta violenza vanno ricercati non in un solo fatto scatenante, ma in una lunga scia di accadimenti che non hanno fatto altro che creare tutte quelle contrapposizioni antiche, nazionaliste e politico/ideologiche che da sempre sono foriere di sangue e morte. Ma per troppo tempo si è voluto negare le sofferenze e la brutalità subite da migliaia di persone. E ciò è avvenuto, non di rado, per soli fini di “opportunità” politica, tanto che i fatti accaduti lungo il nostro confine orientale sono stati quasi dimenticate per anni. Con l’aggravante di una sorta di rimozione operata da una parte della storiografia italiana vicina al PCI. I comunisti giuliani in quegli anni terribili, infatti, dettero sostegno all’amministrazione jugoslava responsabile dei massacri. Le stesse autorità jugoslave si trincerarono per lungo tempo dietro ricostruzioni totalmente negazioniste.

Che ogni guerra porti dietro di se uno strascico fatto di rese dei conti, è la storia a dirlo. Solo che in questo caso, come giustamente sottolineato, dietro le stragi c’erano anche “elementi di programmazione” non solo di sterminio ma di annichilimento del dissenso di tutti coloro che si sarebbero potuti frapporre alla presa del potere dei comunisti.

Queste tensioni si ebbero anche in campo sindacale. Infatti, come ha scritto l’Istituto Studi Sindacali UIL, “la Camera Confederale del Lavoro di Trieste (oggi parte integrante della UIL) nasce nel 1945, organizzazione sindacale democratica in un contesto drammatico che vede operare due diverse Resistenze contro l’occupazione nazi-fascista, presto tra loro confliggenti. La città venne liberata dal CLN, guidato da don Edoardo Marzari, a fine aprile 1945, ma già il 1° maggio arrivò l’esercito jugoslavo, e il CLN fu costretto a tornare in clandestinità. I comunisti si schierarono con Tito e ne condivisero l’obiettivo di portare Trieste sotto il dominio jugoslavo”.

Fuori da ogni strumentalizzazione politica, alla storia la responsabilità di ricostruire e alla memoria quello di ricordare. Perché ciò non accada mai più. Ed il sogno di una Europa unita nasce proprio per questo.

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