G. Caravale, Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni (Laterza 2023)

25.06.2023

Giorgio Caravale Senza intellettuali.

Ben due recensioni importanti sul Domenicale del Sole 24 Ore, di Piero Craveri e Mario Ricciardi, per il libro di Giorgio Caravale, Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni.

La tesi centrale del testo è che nel periodo oggetto dello studio, si è consumata la frattura tra politica e cultura. Politici incompetenti e intellettuali vanesi, entrambi investiti dal discredito, hanno preso il posto dell’intellettuale organico di ieri (che pure non è da rimpiangere, perché l’essere organici è una diminuzione di ruolo: l’autore spera, piuttosto, nella definizione di due sfere separate, ma che si rispettino reciprocamente). Nella sua recensione, Craveri lamenta che Caravale non abbia dato il meritato riconoscimento a quegli intellettuali rimasti esenti dalla strumentalizzazione politica, come quelli del Mondo, Federico Chabod, Rosario Romeo, Galasso e il gruppo del Mulino.

Si comincia con Gargonza 1997, nel cui castello si tenne un incontro dei vertici del centrosinistra dopo la vittoria elettorale dell’Ulivo di Romano Prodi, con il tentativo fallito di Massimo D’Alema di difendere il primato del partito e rianimare il modello gramsciano. Gli Indipendenti di Sinistra (nati nel 1968) e il quotidiano La Repubblica (nato nel 1976) avevano deviato dal modello e sancito l’ingresso della società civile nella politica di sinistra (a destra, si ebbe il caso del Giornale di Montanelli).

Ma anche il PCI stesso aveva contribuito al tramonto del modello, con il moralismo berlingueriano, tentativo di entrare in sintonia con il clima antipolitico che muoveva allora i suoi primi passi.

C’è un filo rosso che unisce Mani Pulite, i Girotondini e Beppe Grillo, antiberlusconismo e antipolitica, cui rispose la “supina reazione” di Piero Fassino, all’epoca segretario dei DS – scrive Caravale –, che rispose all’intervento polemico del regista Nanni Moretti contro i vertici del centrosinistra (“con questi dirigenti non vinceremo mai”) dichiarando chiusa la fase della grande arroganza del partito (2002). La convergenza sulla candidatura grillina di Stefano Rodotà a Presidente della Repubblica (nel 2013) unirà l’area già richiamata, dagli ex-indipendenti di sinistra a Repubblica, dal Movimento 5 Stelle ai lodatori della virtuosa società civile.

Silvio Berlusconi, a giudizio dell’autore, prese dal secondo Bettino Craxi – quello di dopo la fine dell’idillio con Mondoperaio – il modello cortigiano per gli intellettuali, ma poi chiuse del tutto la sua stagione intellettuale per dedicarsi alla videocrazia, con le sue reti Fininvest. Tra i programmi, il Maurizio Costanzo Show. Tra i personaggi promossi da Costanzo, Vittorio Sgarbi, che secondo Caravale “incarna l’archetipo dell’intellettuale televisivo, figura da avanspettacolo”. Anticomunismo e antiintellettualismo si fondono in Berlusconi, che attacca il progetto ortopedico degli intellettuali di sinistra. Antiintellettualismo anche nella Lega Nord di Umberto Bossi.

La scomparsa delle tradizionali culture politiche favorì il proliferare di fondazioni, spesso ad personam, come molti dei rapporti allora instauratisi tra politici ed intellettuali. Esempi: Baricco con Renzi (Baricco incita Renzi a non mediare, cosa che all’ex Presidente del consiglio, purtroppo e suo malgrado, riesce benissimo anche senza che ci si metta Baricco); Recalcati con Renzi; Bersani con Gotor; Bertinotti con Fagioli.

Il decennio successivo, invece, quello degli Anni Dieci, sarà dell’antiintellettualismo populista, incompetente e il più inesperto possibile. Vedi Beppe Grillo. Matteo Salvini, invece, nei confronti della cultura è ambivalente: contro i professori, ma anche con Bagnai e Borghi contro l’euro (faccio fatica, però, a vedere in Borghi e Bagnai dei rappresentanti della cultura, e anche l’autore nota che personaggi come Bagnai e Gervasoni sono sboccati, probabilmente per farsi ascoltare dai politici). Si mette in mostra la figura dell’intellettuale rancoroso, seconde e terze file, marginale, sconosciuto come Conte e Tridico.

Caravale ricorda gli Stati generali dell’Economia di Giuseppe Conte e il presto archiviato Piano Colao; il disastro di Oscar Giannino, che aveva millantato titoli che non possedeva, ma anche il curriculum vitae taroccato di Conte, cui Grillo reagì con indifferenza. Antipolitica anche quella di Renzi, che agita la prospettiva della rottamazione dei dirigenti storici per presentarsi come outsider.

Al tempo stesso, però, c’è in Renzi la riaffermazione del primato della politica, contro cultura, magistratura, sindacato e imprenditori, burocrazia: la politica contro i corpi intermedi. Il suo consigliere, Giuliano Da Empoli, non crede più nelle fondazioni né nelle riviste: solo social e Leopolda.

Il PCI vedeva il partito come intellettuale collettivo (esposto alle reprimende di Togliatti per chi devia). Ma non solo il PCI, bensì tutte e tre le maggiori forze politiche fanno un uso politico della storia, fino al punto di arrivare alla spartizione partitica delle cattedre di storia contemporanea, con conseguente prevalere degli scopi politico-culturali su quelli scientifici.

Quando comincerà la dissoluzione della politica, la storiografia ci guadagnerà in libertà, ma fino all’ultimo ci si dedicherà all’invenzione della tradizione. Come con Occhetto, che cerca di sostituire la Rivoluzione francese a quella russa. O con lo scontro D’Alema-Veltroni, dove il primo nega che gli ex-comunisti debbano fare qualche ripensamento, perché a suo giudizio in Gramsci e Togliatti ci sarebbe già la rottura con l’idea giacobino-leninista della rivoluzione, e il secondo che si costruisce un pantheon mitico-nostalgico che tiene insieme l’America capitalistica e l’eurocomunismo, Gramsci e Bernstein. Il Berlinguer di Veltroni è un riformista ante litteram, promotore della socialdemocratizzazione del PCI, e il compromesso storico altro non sarebbe che un’anticipazione del PD e lui, Veltroni, da sempre un anticomunista. Insomma, il partito non fu in grado di promuovere un confronto franco e aperto sulla realtà storica del comunismo e sulla sua eredità.

A destra, sarà Gianfranco Fini a provare a fare i conti con l’ingombrante passato del suo partito, con una revisione più radicale a destra che non a sinistra (ma in ambo i casi incompleta). La Lega Nord proporrà un retroterra cattolico, rurale, sanfedista, vandeano. Berlusconi si dirà discendente della tradizione italiana conservatrice/liberale di massa (inesistente).

Il presentismo, il rifiuto del peso della storia, l’ansia di inseguire il consenso anziché plasmarlo (come scrive Mario Ricciardi), troverà ambiente favorevole nel Movimento 5 Stelle, che dichiarerà la rottura non solo con la cultura, ma con lo stesso principio di competenza, e manifesterà estraneità alla dialettica destra-sinistra, ma anche Renzi ne sarà un esponente: l’Italia non è un museo – dirà.

Il governo Monti vedrà in azione tecnocrati e populisti antipolitica, allargando la distanza tra società civile e ceto politico. Caravale non apprezza, ma ricorda con nostalgia i tempi della Prima Repubblica quando gli Andreatta, gli Amato, i De Rita, i Cassese, i Visentini, collaboravano con i politici, per non dire di Prodi e Ciampi. Spodestati storici e politologi, è venuta l’ora degli economisti, da Salvati a Brunetta, da Boeri a Cottarelli.

All’estrema sinistra, situazione nota: unità impossibile, scissioni continue, episodi non edificanti come quello di Barbara Spinelli che si tiene il seggio europeo che si era impegnata a lasciare, la rottura tra Tomaso Montanari e Anna Falcone, un ulteriore passo verso l’atomizzazione.

Con la fine della Repubblica dei partiti, si è dissolto l’intreccio politica-cultura, ed è finita la fidelizzazione politica dell’intellettuale, che ha preso a usare i partiti come treni di passaggio: intellettuali organici a sé stessi. L’intellettuale si è mediatizzato e chiuso nell’università: non dialoga con la società. Ricercatori con carriere universitarie poco gratificanti si mettono alla ricerca di un diverso mestiere. Tra politica e cultura si ergono steccati. Carlo Galli fotografa l’esistenza oggi di due sfere aliene, politica e cultura.

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