Gender PAY GAP: l’Europa fa un passo avanti

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07.01.2023

Dopo 45 anni di leggi sulla parità salariale, in Europa le donne ancora guadagnano meno degli uomini. Per svolgere lo stesso lavoro o un lavoro dello stesso valore, la differenza è in media di ben 800 euro. Una disparità netta, punta di un iceberg sotto cui si incastrano e alimentano a vicenda diversi fattori di discriminazione.

I FATTORI DI DISCRIMINAZIONE

Il primo a spiccare è la segregazione settoriale ossia l’iper-rappresentazione femminile in ambiti poco remunerativi, come l’assistenza sanitaria e l’educazione. Un fenomeno che palesa il bias culturale dei mestieri per donne. E, proprio perché per donne, vengono pagati meno.

La segregazione settoriale è responsabile del 24% del divario salariale che ovviamente è acuito dal sovraccarico di lavoro non retribuito gravante sempre sul popolo femminile. È il lavoro di cura che oltre a non essere pagato, riduce e limita le opportunità di carriera. Per questo sono decisivi un’equa ripartizione dei congedi parentali, i servizi per l’infanzia e la flessibilità oraria nell’organizzazione del lavoro. Tutte misure valide per infrangere il famoso soffitto di vetro che soffoca la voce femminile nelle posizioni di potere. Di fatto, che siano aziende o istituzioni, a decidere sono sempre gli uomini.

NUMERI E CAUSE

Ad esempio, nel 2019, solo il 36% dei deputati del Parlamento Europeo erano donne. E a distanza di tre anni, la nuova legislatura non ha cambiato di molto le cose: la presenza femminile è aumentata solo del 3%. La predominanza maschile continua a ripresentarsi anche all’interno del Consiglio Europeo dove, ad oggi, su 27 Premier o Capi di Stato, le donne sono solo 4. La situazione non è rosea nemmeno su scala globale. Con una popolazione divisa quasi ugualmente tra maschi e femmine, le Capo di Stato sono solo 20 su 200 paesi. La stessa proporzione si ripete ai vertici delle attività imprenditoriali. Qui nel 92% dei casi i CEO sono uomini e, fatalità, la professione in cui si registra la più ampia differenza salariale (il 23%) è quella del manager.

Ad ogni modo, sebbene i numeri rendano limpido il problema, non ne precisano le cause. Ed è su questo aspetto che l’analisi si fa interessante. Perché gran parte dello svantaggio femminile in termini di retribuzione è semplicemente inspiegabile. O meglio, può essere spiegato solo se si considera un sottinteso pregiudizio nei confronti delle donne. Infatti, le caratteristiche delle diverse professioni, le discriminazioni strutturali, il lavoro di cura e ogni altro fattore che oggettivamente ostacola la carriera femminile non è sufficiente per giustificare il gap salariale. In sintesi, alle donne spesso spetta uno stipendio più basso semplicemente perché donne, punto.

PAROLA D’ORDINE: TRASPARENZA

La parola chiave per disinnescare questo automatismo culturale è trasparenza. L’Unione Europea si sta muovendo in questa direzione. Non a caso, è di poche settimane fa la notizia dell’accordo finale tra Commissione, Parlamento e Consiglio dei Ministri sulla direttiva per la pay trasparency. Un compromesso dalle linee legislative promettenti, in cui fa ben sperare la rilevanza riconosciuta ai rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il disegno di legge di Bruxelles, infatti, sembra prevedere il divieto delle clausole di segreto salariale e il diritto delle lavoratrici, come dei loro sindacati, di richiedere informazioni trasparenti sulla retribuzione. In aggiunta, si citano degli schemi di valutazione del lavoro neutri nel genere, da progettare con il coinvolgimento sempre delle organizzazioni sindacali. Ultimo, ma non ultimo, si comprende il diritto dei rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori di contrastare la discriminazione salariale e la sottovalutazione del lavoro svolto dalle donne nella contrattazione collettiva.

IL PARERE DELLA CES

Un buon risultato che condivide molto della campagna contro le discriminazioni di genere della Confederazione Europea dei Sindacati. Molto, ma non tutto. Infatti, sempre la CES segnala che nell’accordo di direttiva non sono specificate in maniera adeguata le modalità con cui i buoni propositi saranno attuati. Non è chiaro, inoltre, come il processo di recepimento potrà consentire il pieno rispetto dei diversi modelli di contrattazione collettiva sul mercato del lavoro.

Ad ogni modo, se per il World Economic Forum servono 132 anni per raggiungere la parità di genere, in Europa almeno proviamo ad accelerare i tempi. E la CES sostiene questo sforzo. La Segretaria Generale Esther Lynch ha esplicitamente apprezzato l’accordo che garantirebbe a donne e sindacati “il diritto di scoprire e sfidare la discriminazione salariale” precisando che “le lavoratrici hanno già aspettato più di 45 anni per l’applicazione delle leggi europee sulla parità retributiva e sono state colpite più duramente dagli aumenti dei prezzi dell’energia”. Perciò il consenso sulla direttiva non manca. Rimane solo una cosa da fare: applicarla e il più presto possibile.

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