Formazione e transizione ecologica e digitale

3' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

09.02.2022

L’economia e la società sono all’inizio di due grandi rivoluzioni. O meglio, transizioni. Quella digitale e quella ecologica. Strettamente collegate tra loro: la transizione ecologica, infatti, è connessa – iperconnessa – a quella digitale. Non è un caso che risorse e timori siano per lo più indirizzati verso queste trasformazioni che impatteranno sul mondo del lavoro in modo evidente. Cambiandolo.

Un vago sentore di quel che sarà lo stiamo già recependo nel mondo dell’automotive (Ne abbiamo già parlato qui): la crisi del settore spaventa e non poco. Tanto che sindacati e parti datoriali di categoria si sono uniti chiedendo un incontro all’Esecutivo perché si eviti la desertificazione produttiva e un conseguente dramma socio – economico.

Il punto non è creare panico, ma cercare, insieme di trovare soluzioni sostenibili alle transizioni che il futuro stesso ci impone. Sostenibilità, appunto.

Nella complessità dei problemi a cui si dovrà far fronte, contesto in cui solo il dialogo costruttivo tra le parti potrà dare risultati seri e in grado di governare questa crisi e quelle che verranno, anche la formazione e le politiche attive giocheranno un ruolo fondamentale.

Questo per evitare che le rivoluzioni delle transizioni incidano sul lavoro e sulla società solo in modo negativo. Evoluzioni che non vorremmo mai vedere.

Ecco perché puntare sulla formazione non è irrilevante. E formazione non vuol dire solo scuola, percorsi accademici, specializzazioni. Vuol dire anche re-skilling, riqualificazione, adattamento, valorizzazione di competenze e percorsi personali e professionali. Tutto un macrocosmo di interazioni complesse tra sistema educante, formativo, culturale, professionale che dà valore alle persone, creandolo e restituendolo in un sano circolo ecologico e sostenibile anch’esso.

Accanto alla transizione digitale ed ecologica, insomma, sarà fondamentale anche anche un nuovo umanesimo. Digitale anche questo, se vogliamo.

Quali saranno le professioni del futuro?

Linkedin, il noto socialnetwork che ha per focus il mondo del lavoro e dell’occupazione, ha, da poco stilato una classifica dei profili più richiesti.

Spiccano le professioni digitali, quelle orientate alla sostenibilità e alla finanza, ma, spulciando tra le offerte di lavoro, grande attenzione è anche nel mondo del recruiting.

Inoltre, se, da un lato, le competenze sono iper-specifiche e con qualifiche sempre più specializzate, dall’altro la rimediazione della professionalità acquisita in chiave hi-tech o sostenibile sembra essere un potentissimo traino.  Soprattutto nel manifatturiero (il caro, vecchio, sempre eterno fascino del Made In Italy, inteso come produzione sì ma, soprattutto, come concezione), nell’agroalimentare, nella salute, nei servizi o nel customer care.

Nello specifico, la ricerca di Linkedin suggerisce che, nel prossimo futuro, le professioni più ricercate saranno nell’ambito della robotica, del AI, nella gestione dei grandi flussi di dati (data management), nel back-end e nelle risorse umane.

Di nuovo umanesimo, parlavamo. Forse scomodando grandi filosofie. Gli stravolgimenti, però, hanno bisogno di cultura e formazione per essere interpretati, gestiti, governati. Anche da questo punto di vista, quindi, sarà fondamentale prestare attenzione a come verranno spese le risorse disponibili del PNRR orientate alla formazione. Con un occhio, fondamentale, ai movimenti del mercato del lavoro, alle nuove professionalità e ai nuovi approcci organizzativi.

Del resto, sta cambiando il mondo, sta cambiando il lavoro, stiamo cambiando noi.

di

Maria A. Lerario

 

 

 

Articoli Correlati