Finlandizzazione: genesi di un termine

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29.03.2022

In questo periodo, sui media che si occupano della crisi ucraina, spunta spesso il termine finlandizzazione. Esso viene accostato ad una potenziale atteggiamento di neutralità – o forse sarebbe meglio dire di equidistanza – capace di togliere l’Ucraina dall’impaccio di una possibile invasione da parte della Russia e, al contempo, di disinnescare una escalation di tensione che inevitabilmente si sta creando tra i paesi Nato e Mosca, di cui non possono mai a priori essere chiari i confini,

Per capire cosa realmente sia la finlandizzazione, ed abbia rappresentato storicamente, è necessario fare un passo indietro, per ripercorrere brevemente la storia dei rapporti tra la Russia zarista (e poi l’URSS) e il piccolo paese scandinavo confinante.

Nel 1809, la Finlandia fu annessa alla Russia ma per gran parte del secolo XIX gli venne riconosciuta ampia autonomia. Le cose cambiano con l’ascesa al trono dello zar Nicola II, che diminuisce il grado di autonomia del paese, passando da questa ad una vera situazione di oppressione. Al che, approfittando delle difficoltà attraversate dalla Russia durante la Prima guerra mondiale e con la Rivoluzione di Ottobre del 1917, la Finlandia si proclama indipendente, attraversando anche un periodo di sanguinosa guerra civile tra “bianchi” (spalleggiati dalla Germania) e “rossi” (appoggiati dai sovietici), con la vittoria finale dei primi.

La tensione con l’URSS rimane forte, soprattutto sul tema dei confini. Infatti, nella memoria russa, rimaneva impresso anche quanto successo durante la guerra di Crimea: i finlandesi avevano dato accesso alle navi inglesi e francesi nelle proprie acque territoriali, dalle quali la flotta bombardò Leningrado, che si trova a pochi chilometri dal confine russo-finnico.

Il patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto del 1939 tra la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin mise ancora più in allarme la Finlandia, la quale vide l’Unione Sovietica invadere, da est, la Polonia e costringere Lituania, Lettonia ed Estonia ad accettare basi militari sovietiche sul loro territorio.

Memore dei bombardamenti di Leningrado, Stalin intima alla Finlandia di spostare indietro il proprio confine. Il generale Mannerheim, capo dell’esercito finlandese, sa bene che non c’è reale possibilità di vittoria, ma tenta una strenua e coraggiosa resistenza sia per poter trattare da una posizione di maggior prestigio, sia per temporeggiare nella speranza di intervento di Inghilterra e Francia. Cosa che non si verificherà, non solo per le mancate promesse inglesi e francesi, ma anche perché la Norvegia e la Svezia, pur di mantenere la loro neutralità, non avrebbero mai accondisceso al passaggio di uomini e mezzi militari sul loro territorio. La Finlandia era sola e dovette subire condizioni di pace con i sovietici molto dure.

La situazione, poco dopo, ebbe un ulteriore sviluppo bellico. La Germania invade l’URSS e la Finlandia decide di attaccare, in accordo con Hitler, l’Unione Sovietica per riprendersi i suoi territori, tra cui la Carelia. Ma, come sappiamo, dopo la battaglia di Leningrado, le truppe di Stalin soverchiarono quelle naziste e, nel 1944, ripresero l’offensiva contro la Finlandia.

I rappresentanti del governo finlandese vanno, giocoforza, a Mosca per trattare la pace, sapendo che, anche questa volta, avrebbero subito pesanti condizioni di pace. Ma, visto che stava calando nel frattempo ad Est la cortina di ferro, iniziarono a concepire una politica di neutralità/equidistanza tra il vicino minaccioso, rappresentato dall’URSS, e l’Occidente da cui non voleva separarsi del tutto. Inizia qui la finlandizzazione. La quale, se da un lato ha comportato scelte non proprie per un paese libero e democratico, ha garantito alla Finlandia di non fare la fine degli altri paesi entrati sotto l’influenza di Mosca, con tutte le conseguenze che sappiamo anche in termini di vite umane.

Il paese scandinavo fu obbligato a mantenere una speciale partnership commerciale con Mosca (circa il 20% del commercio totale). Per pagare i debiti di guerra verso l’URSS, la Finlandia cambiò anche l’assetto economico e da paese agricolo si trasformò in avanzato paese industriale, perché era l’unico modo per fare economie di scala con sei milioni di abitanti, per riuscire a pagare i debiti e mantenere al tempo stesso un buon tenore di vita.

Per ben 35 anni, tra cui il triennio 1945-1948 ricordato come gli “Anni del pericolo” (di invasione), fu applicata la dottrina Paasikivi-Kekkonen, i (soli) due capi di stato di quel lungo periodo, non a caso ben visti dai vicini di casa. L’URSS non andava mai criticata troppo, anche in casi eclatanti come i Fatti di Ungheria del 1956. La Finlandia dovette, in linea con questo, rinunciare anche ai soldi del Piano Marshall. Trovò difficoltà persino la pubblicazione del famoso testo di Solzenicjn, Arcipelago Gulag, proprio perché critico nei confronti della politica dittatoria sovietica.

Queste pesanti limitazioni (in campo economico e politico), hanno caratterizzato la storia della Finlandia dal secondo dopoguerra fino alla caduta del regime sovietico. Il Paese visse in un difficile gioco di equilibrismi. La finlandizzazione, appunto.

Di Raffaele Tedesco

 

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