Festa europea della Musica del 21 giugno

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21.06.2024

Una proposta senza pretese per un concerto ideale di musica classica ispirato alla Festa europea della musica e pensato anche come colonna sonora del progressismo politico e sociale europeo e meditazione sullo stesso.

Apriamo senz’altro il nostro concerto con Sumer Is Icumen In (l’estate sta arrivando), un canto medievale a sei voci proveniente dall’Inghilterra del Duecento, di cui non conosciamo l’ingegnoso autore. Essendo la festa europea della musica nata come celebrazione del solstizio d’estate, questo notevole canto dedicato appunto all’arrivo dell’Estate va proprio bene per iniziare il nostro programma.

Della grande stagione dei trovatori provenzali, sceglieremmo uno dei brani più noti del principe dei menestrelli, Bernart de Ventadorn: Can vei la lauzeta mover (quando vedo l’allodola battere gioiosa le ali). La donna amata non ricambia l’amore dello sfortunato spasimante. La scena leggiadra che apre la canzone è presto dimenticata dall’addolorato amante non corrisposto. Le canzoni dell’amor cortese, la donna amata idealizzata, il corteggiatore che cade ai piedi di lei sospirando: non c’è dubbio che le canzoni dei trovatori e dei trovieri abbiano contribuito ad ingentilire i costumi.

Lasciamo la musica antica per quella barocca. Di Johann Sebastian Bach, scegliamo l’Aria sulla IV corda, l’arrangiamento di August Wilhelmj del secondo movimento della Suite orchestrale n. 3 in re maggiore (anni ’20-’30 del Settecento), per la sua bellezza, e perché prima di noi la scelse Piero Angela, grande divulgatore di scienza e conoscenza, per i suoi programmi, Quark e Superquark: l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso è componente imprescindibile di ogni progressismo.

Ancora Illuminismo con Il flauto magico (Die Zauberflöte) di Wolfgang Amadeus Mozart (1791) e la vittoria della luce sulle tenebre, del bene sul male.

E arriviamo a Ludwig van Beethoven e alla sua Terza Sinfonia, del 1803. Dedicata a Napoleone e alla Rivoluzione, che Napoleone sembrava pronto a servire. Grandissima fu la delusione di Beethoven quando, nel 1804, Napoleone si autoproclamò Imperatore. La dedica fu cancellata. Mai, però, fu cancellato in Beethoven l’anelito alla libertà, che pervade anche la sua ultima sinfonia, la Nona, del 1824, che si chiude con il coro dell’Inno alla gioia, dal 1972 adottato come Inno dell’Unione Europea.

La contrapposizione di Romanticismo e Illuminismo è spesso profonda, ma succede anche che i due movimenti si diano la mano, come il questo lied di Franz Schubert: Mut (coraggio), da Il viaggio d’inverno (Winterreise), del 1827: Su con gioia per il mondo, / contro vento e intemperie! / Se non c’è nessun Dio sulla terra, / noi stessi siamo dei! Un anticipo di Novecento, nel bene dell’emancipazione umana, nel male della perdita del senso del limite.

Un altro potente movimento contribuirà a plasmare Ottocento e Novecento: il nazionalismo, nelle sue diverse forme, buone e cattive. In Va pensiero, di Giuseppe Verdi, tratto dal Nabucco, del 1842, il patriottismo nutre un desiderio di libertà dall’oppressore straniero: Oh, mia patria sì bella e perduta! – canta il coro degli Ebrei che soffrono la cattività babilonese, ma per Verdi vale anche per gli Italiani che aspirano all’indipendenza dal dominio austriaco.

La Sinfonia numero 9 di Antonín Dvořák, detta anche Sinfonia Dal Nuovo Mondo, del 1893, è stata portata dall’astronauta Neil Armstrong sulla Luna durante la missione Apollo 11 (1969): evidentemente si è colto di questa musica la modernità, ma si dimostra una volta di più che il progresso scientifico non basta senza quello culturale umano. E infatti, la fine del secolo lungo era prossima insieme con l’inizio del secolo breve, con tutti i suoi abissi, tra cui il suicidio dell’Europa. Lo struggente spiritual Goin’ Home, nel secondo movimento, è un presentimento delle catastrofi in arrivo.

La pagana Sagra della Primavera, di Igor’ Stravinskij, del 1913, l’anno prima della deflagrazione della Prima Guerra Mondiale, è splendida, ma trasuda barbarie: siamo tornati ai sacrifici umani.

Il Quartetto per la fine dei tempi (Quatuor pour la fin du Temps), di Olivier Messiaen, composto nel campo di concentramento di Görlitz nel 1941, evoca l’angelo dell’Apocalisse.

Dello stesso anno 1941 è la Sinfonia n. 7 “Leningrado” di Dmitrij Šostakovič, dedicata all’epica resistenza sovietica all’invasione nazista. Incalzante come un bolero, orecchiabile, questa volta Stalin non ebbe nulla da ridire. Julian Barnes, in Il rumore del tempo, racconta invece di quando Šostakovič, cadde in disgrazia con Stalin che stroncò una composizione bollandola come musica borghese. Šostakovič si convinse che da un momento all’altro la polizia politica sarebbe venuta a prenderlo, come era successo a tanti altri. Così, per risparmiare ai propri cari lo spettacolo del suo arresto, “ogni sera metteva in atto la medesima procedura: si liberava l’intestino, baciava la figlia addormentata, baciava la moglie insonne, prendeva dalle sue mani la valigetta e si chiudeva alle spalle la porta di casa. Quasi come un lavoratore del turno di notte”. Ebbero così iniziò le veglie di Šostakovič sul pianerottolo, davanti all’ascensore. Ricordiamo dunque gli eroici difensori di Leningrado assediata, ma anche il vergognoso accordo di spartizione della Polonia tra nazisti e sovietici, che diede il via alla Seconda Guerra Mondiale, e l’asfissia dei totalitarismi tutti.

Il War Requiem (Requiem di Guerra) di Benjamin Britten, che celebra la liberazione dal nazi-fascismo e piange i suoi caduti, è stato ultimato nel 1962, l’anno di Love Me Do dei Beatles, ma anche della crisi dei missili di Cuba; è un invito a non dimenticare, ma purtroppo non solo dimentichiamo, ma tendiamo a rifare gli stessi errori.

Chiudiamo con Lux Aeterna di György Ligeti, del 1966, musica sperimentale con polifonie complesse per 16 voci su testo preso dalla messa cattolica in Latino, celebre anche per il suo inserimento nella colonna sonora di 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick, del 1968, nella scena della misteriosa apparizione del monolito nero, che oggi ancor più di allora, quando fu composta questa musica e girato il film, sembra evocare interrogativi attualissimi sul futuro di Homo Sapiens.

Il nostro concerto finisce qui, le note liete abbondantemente contrastate da quelle cupe, gli orizzonti di speranza sfidati da quelli di preoccupazione. Siamo entrati in una fase di grave regresso nei rapporti tra gli Stati, come dimostra l’orrenda invasione russa dell’Ucraina, e di nuove grandi acquisizioni scientifiche che forse eccedono la nostra capacità di controllo. Sta sopraggiungendo l’estate, bel pretesto per la festa europea della musica, ma affinché si levi possente l’inno alla gioia, che Beethoven vedeva intimamente connessa alla libertà, noi esseri umani tutti, e nello specifico noi Europei, dovremo saper fare alcuni importanti passi avanti per essere all’altezza dei tempi, che non sono finiti ma avanzano, in direzione sconosciuta.

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