Donne e sicurezza: serve l’ottica di genere
08.03.2024
I DATI INAIL
La cronaca recente lo ha reso palese: i luoghi di lavoro non sono sicuri. Nella fondamentale ricorrenza dell’8 marzo, questo tema si incrocia inevitabilmente con la condizione di svantaggio e maggiore rischio a cui sono soggette le lavoratrici. A fornirne le prove, è la consulenza statistico attuariale dell’INAIL che ha condotto un’analisi dettagliata sul fenomeno infortunistico e tecnopatico tra le donne.
Secondo quanto rilevato, il principale fattore di discriminazione è lo stereotipo del triplice ruolo di moglie-madre-lavoratrice, da cui deriva la faticosa conciliazione tra lavoro e vita privata. Ne sono la prova i numeri sugli infortuni in itinere, ossia quelli verificatisi nel tragitto di andata e ritorno dal luogo di lavoro. Lo smart working ha sicuramente condotto a un loro ridimensionamento tra il 2020 e il 2022, ma in termini relativi ne sono vittime sempre più le donne che gli uomini. Una differenza che si fa più marcata nei dati sulle denunce con esito mortale. Infatti, contiamo un decesso su due casi tra le lavoratrici, poco meno di un decesso su quattro per i lavoratori.
Ampliando la ricerca alla categoria degli infortuni “fuori azienda”, che unisce quelli in itinere e quelli in occasione da lavoro con mezzo di trasporto coinvolto, il pattern è lo stesso. Nel 2022 l’incidenza per le donne era del 17%, mentre per gli uomini del 15%. Un divario che si ripete per i casi mortali. Tanto è vero che la percentuale di decessi femminile sale al 61,7%e quella maschile al 44,2%.
Aggressioni e malattie professionali
Stando alla lettura dell’INAIL, questi numeri sono la diretta conseguenza sia del sovraccarico di lavoro di cura che della segregazione settoriale. Le donne, infatti, affrontano per lo più da sole l’attività domestica e genitoriale, e sono spesso impiegate nell’ambito dei servizi ad alto rischio di infortunio. Inoltre, sebbene tra gennaio e dicembre 2023 si sia registrato un maggiore calo degli incidenti per le donne, questo è dipeso dal calo dei contagi da Covid -19. Una variabile che interessava soprattutto la popolazione femminile, decisamente più numerosa nella sanità e nell’assistenza sociale.
Le donne sono più spesso vittima anche di violenze sui luoghi di lavoro. Quelle aggredite da pazienti, studenti, rapinatori in banca e uffici postali sono il 2,6 % di tutti gli infortuni femminili rilevati dall’INAIL nel 2022. Nel 44% dei casi svolgono professioni sanitarie e assistenziali. Ci sono poi le specialiste dell’educazione e della formazione, le insegnanti di scuola primaria e le impiegate postali.
L’attenzione per la prospettiva di genere va mantenuta anche per le malattie professionali. Le lavoratrici sono affette per lo più da patologie osteo-muscolari e del tessuto connettivo, insieme a quelle del sistema nervoso. Sono le stesse malattie che rappresentano il 74% delle denunce totali, ma tra le lavoratrici sono l’85% dei casi, mentre tra i lavoratori il 70%.
Un discorso a parte va fatto, poi, per i disturbi psichici. Perché per quanto ci sia un numero simile di denunce per ambo i sessi (195 casi per le donne e 183 per gli uomini), per le donne la percentuale sul totale delle loro malattie è dell’1,2%, il triplo di quella dei lavoratori, pari allo 0,4%. In special modo le lavoratrici soffrono forme di stress lavoro-correlato, seguite dai disturbi dell’umore.
Perché servono norme in ottica di genere
Questi sono solo alcuni degli ultimi spunti per comprendere lo stato di maggiore e specifica vulnerabilità della popolazione femminile sui luoghi di lavoro. I limiti e pregiudizi culturali permeano anche fabbriche e uffici, perciò occorre una normativa che sappia tenerne conto. Proprio nel lavoro di sensibilizzazione sulla sicurezza svolto dalla UIL con la campagna Zero Morti Sul Lavoro si sottolineata la necessità di un aggiornamento legislativo.
Fin dagli anni Novanta, in realtà, le precise esigenze delle donne in termini di sicurezza hanno iniziato a sostanziare la domanda politica del Sindacato. Grazie ai progressi nell’emancipazione femminile, non c’erano più solo lavoratori, ma il sistema giuridico si rivolgeva solo a loro. Ad esempio, il D.lgs n. 626/1994 sulla sicurezza era una normativa totalmente al maschile. Parlava di “lavoratori” senza contemplare e valorizzare le differenze di genere. Servì l’input di Bruxelles per iniziare a cambiare il quadro normativo. Con la strategia comunitaria 2002-2006, l’UE impose di includere le istanze di genere negli obiettivi sulla salute e sicurezza sul lavoro. I risultati nazionali arrivarono con il d.lgs. n.81/2008 :Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.
Nell’art. 1, si fece espresso riferimento alla garanzia «dell’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati».
Un percorso ancora lungo
È così che l’Italia intraprese un lungo percorso di ristrutturazione formale, in ottica di genere, che deve continuare ancora oggi, perché i fattori di maggiore rischio che gravano sulla popolazione femminile sono tuttora senza soluzioni adeguate.
Le donne rimangono la principale forza lavoro di impieghi informali, che nell’economia sommersa non sono oggetto di ispezioni e controlli. Sacrificano più spesso la propria carriera e il proprio reddito, a causa di una genitorialità non condivisa. Sono esposte a un alto rischio di violenza e molestie sui luoghi di lavoro. Vengono pagate meno e sfruttate di più, tra lavoro di cura e lavoro salariato; patiscano in misura maggiore stress e malessere psicofisico.
Tutti fattori che devono diventare colonne portanti di un quadro normativo che sappia cogliere le differenze, valorizzarle e dare risposte adeguate a garantire salute e sicurezza per tutte e tutti.
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L'Appunto
di Pierpaolo Bombardieri

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