Cosa ci dice l’Istat sugli ultimi rinnovi contrattuali?

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04.02.2023

Il recente report Istat sui rinnovi dei contratti collettivi nazionali e gli incrementi retributivi a questi legati del IV trimestre fa emergere un mondo del lavoro italiano diviso perfettamente a metà.

Sono infatti 6,2 milioni ovvero il 51.2% i lavoratori che hanno un contratto collettivo nazionale rinnovato, mentre sono 6 milioni ovvero il 49.8% i lavoratori a cui viene applicato un Ccnl scaduto.

Se delimitiamo l’analisi al lavoro privato emerge come siano i contratti collettivi nazionali afferenti al terziario, servizi, commercio e turismo a non garantire una rapida conclusione delle negoziazioni. Non è un mistero che il macro settore del terziario si caratterizzi per condizioni di lavoro precarie e retribuzioni basse. La qualità del lavoro, come sempre, qualifica le imprese e non è infatti un mistero che proprio il terziario zavorra i dati italiani su produttività, tasso di innovazione e qualità delle imprese.

Eppure, in termini di spinta al Pil dell’economia italiana i servizi, il commercio ed il turismo sono andati molto bene tanto da supplire al calo dell’industria che nella seconda fase del 2022 ha rallentato per via del caro energia.

È, dunque, evidente che l’arricchimento è totalmente fatto sulle spalle dei lavoratori. Non è un caso se il più diffuso CCNL in Italia quello del commercio che copre oltre 2milioni di lavoratori aspetti un rinnovo dal 2019 e veda i salari fermi a 5 anni fa, al netto di una tantum arrivata a gennaio.

Passando, invece, agli incrementi retributivi ciò che emerge dal report Istat è speculare a quanto detto ora sulle tempistiche di rinnovo, ma occorre prime un chiarimento.

L’Istat certifica che la differenza fra incrementi salariali e inflazione ha raggiunto il 7,6% poiché gli aumenti medi dei salari si sono fermati all’1,1%, mentre l’inflazione ha raggiunto l’8,7%.

Questa crescita apparentemente bassa dei salari è dovuta al sistema di tranche con cui i minimi retributivi vengono aumentati nel corso della vigenza del CCNL, dunque, il report Istat registra solo l’erogazione delle prime tranche negoziali. Tale sistema è comune in tutti i modelli contrattuali anche in altri paesi europei con sistemi di relazioni industriali consolidate dove l’inflazione viene recuperata ex post.

Andando, dunque, a vedere gli incrementi salariali dei Ccnl rinnovati nel 2022, si evince come l’industria ancora abbia previsto aumenti dell’1,5%, ovvero oltre il 30% in più della media, mentre il comparto dei servizi, commercio e terziario ha previsto incrementi pari allo 0,6% più del 40% in meno rispetto alla media. Ancora meglio i rinnovi dei contratti pubblici che raggiungono una crescita del 2,8%, quasi il triplo della media.

Esiste, dunque, una crescente disparità nel mondo del lavoro italiano che l’inflazione di questi anni sta ulteriormente aggravando e come detto non dipende tanto dalle regole della contrattazione – che comunque potrebbe trovare accorgimenti quanto meno per ridurre i ritardi con cui alcuni Ccnl vengono rinnovati – ma è strettamente legata alla qualità delle imprese, perché come detto la qualità del lavoro qualifica l’impresa.

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