Comunicazione medico-scientifica, com’è cambiata dopo la pandemia

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10.05.2022

Com’è cambiata la comunicazione medico-scientifica durante e dopo la pandemia? Quello che era un apparato specialistico di comunicazione è diventato, improvvisamente, un punto di riferimento per trovare risposte a un’esigenza di informazione alla quale nessuno era preparato. Né i comunicatori scientifici, né le persone.

L’ambito della comunicazione scientifica è sempre stato molto specifico e delicato. Tant’è che ,fino alla prepotente entrata in scena del virus Covid-19, la comunicazione scientifico- sanitaria è stata indirizzata principalmente agli “addetti ai lavori”.

L’investimento principale in comunicazione delle aziende farmaceutiche, ad esempio, e di tutti gli specialisti di settore era orientato a un pubblico “competente”.

Solo in rare occasioni ha oltrepassato il muro che separa un contesto specialistico dal concetto di notiziabilità estesa.

COMUNICARE LA SCIENZA NON È MAI STATO SEMPLICE.

La trasmissione delle informazioni medico- scientifiche, come detto in precedenza, è sempre stata dedicata ai professionisti e solo in alcune specifiche e limitate occasioni, anche alle persone. Prevalentemente viste e trattate come “pazienti”.

Questo perché, rispetto ai tantissimi ambiti di comunicazione e giornalismo tout court, la scienza e la medicina rispondono a una specificità – scientifica appunto – difficile da comunicare.

Terminologia, dati, conoscenze, per essere ben comprese, hanno bisogno di un background scientifico-culturale molto specialistico. Non è semplice veicolare informazioni e concetti su farmaci, vaccini, andamenti epidemici, studi e sperimentazioni in modo chiaro per tutti. Non è facile per le persone interpretare il linguaggio scientifico.

Eppure, la medicina è sempre stato un campo di interesse non indifferente.

Storicamente, l’unico vero passo verso le persone è stato fatto dai comunicatori medico scientifici nel campo della prevenzione e dell’informazione generica sulle malattie più comuni.

Tanto è vero che la Rai, per servizio pubblico, negli anni, ha dedicato approfondimenti, rubriche e programmi tv proprio alla divulgazione medico-scientifica. Format che nel tempo sono rimasti prevalentemente identici, non a caso.

Lo stesso si è verificato nelle rubriche dedicate alla medicina nei rotocalchi, riviste generiche o media di grande diffusione e distribuzione. Questo perché è sempre stato necessario mediare in modo semplice una tipologia di comunicazione che semplice non è.

In una sorta di tacito accordo, questi format sono stati assimilati dal pubblico e si sono tramandati negli anni. Nell’era pre-covid, la comunicazione medico- scientifica è stata mediata prevalentemente da medici di fama che, ospiti di programmi televisivi o intervistati su quotidiani e altri media, offrivano pillole di informazione su vari ambiti della medicina.

LA FIGURA E IL RUOLO DELL’ESPERTO

Con l’esplosione del Covid, questo meccanismo di semplificazione del testo scientifico è collassato. Dapprima, si è tentato di replicare il format abituale. Abbiamo imparato tutti a conoscere, in fretta, virologi, epidemiologi, biologi che spiegavano e argomentavano le proprie conoscenze tentando di dare risposte precise, scientifiche a una situazione di estrema complessità.

Questo sistema comunicativo, però, non ha funzionato. Complice anche la natura delicata, improvvisa e inattesa della pandemia. E, dettaglio non da poco, la paura collettiva che spingeva a “saperne di più”.

Il semplice format televisivo in cui l’esperto condivideva le sue conoscenze non era più sufficiente a soddisfare la fame di informazione.

I social e il web sono stati presi d’assalto, letteralmente, da chiunque. E gli esperti si sono trasformati in star, ospiti tv. Non più divulgatori ma volti della comunicazione. Una comunicazione disorganizzata e per lo più urlata in dibattiti di pochi minuti con politici, economisti, sociologi. Esperti di altre materie, insomma. Tanti sono stati messi in discussione da chi era lì a dibattere con loro, pur non avendo capacità e conoscenze tali da gestire un confronto così specifico.

In questo modo, si sono generati, inconsapevolmente, equivoci e distorsioni.

LO STORYTELLING DELLA PANDEMIA

La centralità della comunicazione scientifica si è ribaltata. Da comunicazione tecnica e specialistica si è trasformata in narrazione. Del resto, la domanda di informazione era fortissima. Si voleva sapere cosa stava succedendo e, soprattutto, cosa sarebbe ancora potuto accadere.

La tendenza, quindi, è stata la semplificazione. Un elemento positivo senza dubbio che ha portato la medicina a essere argomento di tutti, perdendo, però, autorevolezza e scientificità. Le parole degli esperti sono state relegate a sfondo di discussioni trasversali. Bollettini quotidiani e analisi delle “curve” sono diventati appannaggio di tutti, senza  che tutti avessero la capacità reale di comprenderli.  Si è persa la fiducia nelle autorità sanitarie e negli scienziati.

Di contro, però, il messaggio scientifico ha acquisito centralità nell’interesse generale.

 LA RITROVATA CENTRALITÀ DELLA COMUNICAZIONE MEDICO- SCIENTIFICA

Nonostante il caos comunicativo, la pandemia ha rimesso al centro gli scienziati. Ha ricordato a tutti l’importanza della cultura scientifica. Alle persone perché la tutela della salute e la logica della prevenzione non sono solo un fatto personale, ma collettivo. E sapere aiuta, tanto.

Agli “esperti” (accademici, professionisti, aziende farmaceutiche, medici) perché detengono la responsabilità di creare informazione fruibile sì, ma approfondita e rigorosa.

La comunicazione medico- scientifica non sarà mai più la stessa. Lo sanno gli addetti ai lavori che hanno preso coscienza di tutte le sfide del caso.

C’è l’esigenza di parlare in modo semplice e con un messaggio orientato a più livelli perché possa raggiungere tutti.  C’è il bisogno di creare un nuovo modello di comunicazione a più livelli, che faccia rete tra esperti e professionisti e arrivi alle persone con chiarezza.

Divulgazione, rapidità di comunicazione, approccio multicanale, innovazione del linguaggio, gestione dell’overload di informazioni, rapporto diretto con le persone, senza intermediazione.

Una piccola grande rivoluzione, insomma, che ci auguriamo porti a una consapevolezza sempre più forte in tema di tutela della salute pubblica. Curare sé stessi, infondo, vuol dire curare tutti.

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