Che cos’è l’eco-ansia e perché dobbiamo preoccuparcene

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13.05.2022

Pandemia, guerra, crisi climatica. Ecco cosa il mondo ha dovuto e sta tuttora affrontando. Sono già stati resi noti gli effetti che il lockdown e il distanziamento sociale hanno avuto sulle psiche di molte persone, a prescindere dalla fascia di età di appartenenza. La salute psicofisica ne ha risentito e non poco. Ansia e depressione, derivate dalla solitudine e dal cambiamento radicale della quotidianità, hanno trovato terreno fertile per crescere e moltiplicarsi, sfociando in alcuni casi in disturbi gravi e difficilmente gestibili.

Come se non fosse abbastanza, dallo scorso 24 febbraio le incertezze e il senso di smarrimento legati alla guerra scoppiata in Ucraina hanno ulteriormente aggravato una condizione mentale instabile, messa a dura prova, appunto, dal Covid-19.

Sullo sfondo, ma nemmeno poi tanto, c’è un’altra minaccia per la nostra salute mentale, che diventa sempre più concreta, giorno dopo giorno. Parliamo dell’eco-ansia. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha dimostrato che i cambiamenti climatici stanno portando sempre più persone ad arrivare all’estrema decisione di togliersi la vita. Ciò a causa dell’instabilità del futuro del pianeta e degli effetti pragmatici, concreti, figli del riscaldamento globale, come l’innalzamento del tasso di umidità.

ECO-ANSIA QUALI SONO I SINTOMI?

In pratica, soffrono di eco-ansia sia coloro che hanno mostrato una maggiore sensibilità verso il tema e sia coloro che vivono sulla propria pelle le transizioni, i cambiamenti evidenti.

Nel primo caso, anche trovarsi di fronte a una news inerente al clima o a tutto ciò che afferisce l’argomento istiga a una sofferenza psicologica involontaria, talvolta anche grave. D’altra parte, gli input sono sempre più costanti e nutriti: documentari, video, articoli, saggi, podcast e così via. I sintomi spaziano dall’ansia all’angoscia, passando per i disturbi del sonno, fino ad arrivare, in casi estremi, a pulsioni suicide. Soffrono di determinate patologie anche coloro che pensano di contribuire alla crisi climatica e coloro che invece si immolano per la causa e agiscono quotidianamente, come ad esempio gli attivisti (fonte, Eco-anxiety and Environmental Education, Pihkala, 2020).

Nel secondo caso, non è solo messa a rischio la salute mentale ma anche quella fisica. I disastri naturali sono sempre più frequenti e contestualmente sono sempre di più anche le persone coinvolte. In casi come questo, si presentano sintomi pericolosi come: stress post-traumatico, depressione grave e suicidi (fonte, The Guardian). Specifichiamo che in molte circostanze, durante una catastrofe naturale, si perdono affetti e averi, la vita viene totalmente stravolta. Per impatti diretti ci riferiamo, tuttavia, anche alla mutevolezza del tasso di umidità che in alcune zone del pianeta sta diventando insostenibile che incide notevolmente sulla salute mentale, più che su quella fisica (fonte, Nature, 2022).

COSA SI PUÒ FARE

Partiamo dal presupposto che non si tratta di un disturbo riconosciuto, non è stato inserito nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Ciò nonostante, se ne parla profusamente e la comunità scientifica sta approfondendo la questione con perizia.

In generale psichiatri e psicologi consigliano, soprattutto ai più giovani, di non tenere per sé le emozioni in merito alla questione ‘ambiente’, ma anzi di condividere le proprie preoccupazioni in modo da non relegarle a uno spazio da cui sembra non esserci via di uscita.

Inoltre, riferiscono che le persone vicine a chi soffre di eco-ansia dovrebbero imparare a trasferire ottimismo. Nel caso dei bambini, i genitori dovrebbero permettere loro di creare un sano legame con la natura. Non dovrebbero sottoporli, inoltre, a stimoli troppo negativi e preoccupanti sulla questione. Stesso discorso vale per l’insegnamento scolastico, che dovrebbe affrontare il tema trovando un equilibrio tra il catastrofismo e la possibilità di mettere in pratica alcune azioni per invertire il senso di marcia e fare qualcosa di concreto per il pianeta, in modo da attenuare il senso di impotenza.

IL QUADRO GENERALE

Tutto questo si incasella in un enorme puzzle, fatto di tanti tasselli non trascurabili. L’angoscia e il senso di smarrimento sono generati dal cambiamento in quanto tale e sono legati a tutti gli aspetti della vita quotidiana. Dal lavoro, che assume tinte sempre più green ma incerte, allo sviluppo territoriale. Di fondo è l’ignoto che preoccupa. Se da una parte la politica nazionale e internazionale investe sulla sostenibilità con lo scopo di arrivare a un’evoluzione e di evitare la catastrofe, dall’altra c’è l’irrisolutezza di come praticamente cambierà la vita.

Alcuni specialisti asseriscono che l’eco-ansia per certi versi può anche essere positiva perché può rappresentare uno sprono ad affrontare i problemi e a trovare il modo di conviverci. Il punto è che gli studi sulla materia sono ancora in divenire. Dati, campioni e analisi, insomma, non restituiscono un quadro chiarissimo. Quello che si può fare è, sicuramente, cercare di prevenire ciò che provoca lo stato di smarrimento. Investire nella ricerca scientifica, nelle strutture, nell’elaborazione preventiva dei processi di cambiamento può aiutare non solo ad affrontare meglio il futuro incerto ma a cercare di governarlo in anticipo.

 

 

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