Un canzoniere sindacale

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21.06.2023

Un po’ di anni fa ho partecipato a un corso di Inglese per sindacalisti europei, a Newcastle, una delle capitale operaie del Regno Unito. Una sera, dopo cena, spuntarono fuori le chitarre. E con loro anche qualche canzone sindacale. Curiosamente, la canzone sindacale nota a tutti era … americana e rivoluzionaria (nonostante la platea fosse prevalentemente di colleghi di cultura riformista socialdemocratica): Joe Hill. Immigrato svedese negli Stati Uniti, anarco-sindacalista, autore di canzoni politico-sindacali, spesso parodie di canzoni note, raccolte in un libretto, il Little Red Songbook, Joe Hill fu fucilato nel 1915 a seguito di un’accusa di omicidio mai dimostrata.

La più nota registrazione della canzone è quella di Joan Baez, che è anche parte della colonna sonora del film Joe Hill di Bo Widerberg, del 1971. La voce narrante della canzone racconta che Joe Hill gli è apparso in sogno: “vivo come me e te”. E che gli ha detto di non piangerlo, perché le idee sopravvivono alla morte: “Da San Diego fin su nel Maine / in ogni miniera, in ogni fabbrica / laddove i lavoratori scioperano e si organizzano / là troverai Joe Hill”.

L’altra canzone sindacale nota a (quasi) tutti si confermò essere Solidarity Forever, l’inno scritto da Ralph Chaplin nel 1915 sulla melodia di John Brown’s Body: “Noi lavoratori abbiamo arato le praterie, noi abbiamo costruito le città dove loro, i borghesi, commerciano / Noi abbiamo scavato le miniere, costruito le fabbriche, posato infinite miglia di rotaie / Ora ce ne stiamo spogliati di tutto e affamati in mezzo alle meraviglie che abbiamo fabbricato / Ma l’unione ci darà la forza // Senza il nostro cervello e i nostri muscoli, non gira una singola rotellina // L’unione ci fa forti”.

Bella ciao

Una conferma di grandissima notorietà ho avuto per la nostra Bella Ciao, molto amata come canzone di libertà. I miei colleghi sindacalisti europei la conoscevano tutti. La presunta derivazione da un canto di mondine è probabilmente senza riscontri adeguati, e anche come canzone politica, è più un canto sulla Resistenza che della Resistenza. Ciò però non toglie nulla alla sua attuale importanza, grande e crescente.

Non mi pare che, oltre a queste tre canzoni, ce ne siano altre che siano patrimonio d tutti. Ci sono le diverse tradizioni nazionali. Le canzoni spesso sono genericamente del lavoro o attribuibili al movimento operaio nei suoi filoni anarchico, socialista o comunista più che specificatamente sindacali.

Nel caso britannico, Jerusalem, poesia di William Blake del 1804, musicata da Hubert Parry, è diventata l’inno non ufficiale dell’Inghilterra, amato da progressisti e reazionari. William Blake dava credito alle teorie che sostenevano che Noè dopo il Diluvio si fosse stabilito in Inghilterra: “Fu costruita qui Gerusalemme / Fra queste oscure macine di Satana?” – la visione di William Blake delle fabbriche della rivoluzione industriale. Un’impressione simile delle fabbriche di Manchester riporterà Tocqueville dal suo viaggio in Inghilterra nel 1835: “da questa fogna immonda sgorga oro puro”.

L’inno di Blake si conclude con l’evocazione di una battaglia spirituale e intellettuale che non dovrà cessare prima del raggiungimento della meta finale. C’è poi lo splendido inno scritto dallo scozzese Robert Burns, A Man’s A Man For A’ That, oppure For A’ That And A’ That (1795), espressione del giacobinismo britannico, che crede nell’uguaglianza (ma senza il fanatismo ghigliottinatore dei francesi). La nostra UIL, divenuta con il XVIII Congresso “sindacato delle persone”, può meglio di altri apprezzare questo verso dell’inno di Robert Burns: “II rango non è che lo stampo sulla moneta, / È l’uomo l’oro, nonostante tutto”.

Victoria’s Inferno 

Ottimi libri hanno raccolto e commentato le canzoni della rivoluzione industriale e del movimento operaio britannico. Segnalo tra i tanti volumi e fascicoli, l’antologia Victoria’s Inferno: Songs of the Old Mills, Mines, Manufactories, Canals and Railways, curata da Jon Raven. Ci sono inoltre eccellenti dischi, disponibili anche su CD, antologie della canzone industriale, tra cui quella della Topic, The Iron Muse, A Panorama of Industrial Folk Music (LP del 1963, oggi disponibile in CD, con più canzoni).

I 100 anni dal massacro di Peterloo, Manchester 1819, sono stati l’occasione per rievocazioni cinematografiche, come il film Peterloo, di Mike Leigh (2018), e musicali, come il CD The Road to Peterloo, di Pete Coe, Brian Peters and Laura Smyth (2019), con canzoni luddiste (Cropper Lads), cartiste (Chartists’ Anthem), operaie (Arise, You Sons of Freedom), che va ad aggiungersi al disco LP dedicato all’evento nel 1968: Waterloo:Peterloo – English Folk Songs and Broadsides 1780-1830, The Critics Group. Il Folk Revival anni Cinquanta-Sessanta, guidato da A. L. Lloyd e Ewan MacColl in Gran Bretagna e da Alan Lomax negli Stati Uniti, è stato molto attento al recupero delle canzoni del mondo del lavoro, producendo una gran quantità di registrazioni, dischi, libri.

Per la Scozia in particolare, non si può non citare Hamish Henderson, cultore di musica tradizionale e autore di canzoni politiche, tra cui l’inno pacifista Freedom Come-All-Ye, in dialetto scozzese. Nello specifico sindacale, ricordo per la Scozia Hamish Imlach con la sua registrazione di If It Wisnae For The Union: “tra la là, tra la là, / non ce l’avreste mica la TV che vi racconta le notizie / se non fosse per il sindacato” e Dick Gaughan, gran sostenitore della lotta dei minatori del 1984, cui ha dedicato il suo CD True and Bold – Songs of the Scottish Miners (1986).

Songs Of Irish Labour

Per l’Irlanda, segnalo il CD di Frank Harte There’s Gangs Of Them Digging – Songs Of Irish Labour (2005), in cui la maggior parte delle canzoni sono dell’emigrazione irlandese in Inghilterra. Quanto agli irlandesi in America, segnalo l’album dei Solas Shamrock City, del 2013, che ricostruisce la storia di Michael Conway, avo del co-fondatore del gruppo, Seamus Egan, immigrato nel Montana nel 1910 per lavorare nelle miniere di rame, ucciso pochi anni dopo dalla polizia.

Una menzione anche per i Molly Maguires, società segreta di minatori di origine irlandese attiva in Pennsylvania dopo la fine della Guerra di Secessione: “Fate largo ai Molly Maguires, bevitori, spergiuri, uomini però / Largo ai Molly Maguires / Gente così non la incontrerete più”. La canzone era nel repertorio dei Dubliners, e c’è anche un film su questa organizzazione clandestina, del 1970, I cospiratori (The Molly Maguires), di Martin Ritt, con Sean Connery.

Comune ai sindacati inglesi e americani è stata a lungo ed è tuttora Hold the Fort, derivata da un inno religioso. Tra le registrazioni recenti, quella del cantante-attivista inglese Billy Bragg.

Sempre dall’America viene Which side are you on?, che ha conosciuto un momento di popolarità anche nel Regno Unito con la tragica lotta dei minatori del 1984, ma i colleghi europei, inglesi esclusi, non la conoscevano: “Nella Contea di Harlan, non si può essere neutrali / O sei con il sindacato, o un tirapiedi del padrone / Da che parte stai? / Dimmi: da che parte stai?”.

Furore

Per il sindacalismo americano, segnalo le registrazioni del gruppo degli Almanac Singers, attivo nel periodo 1940-43, e la figura imprescindibile di Woody Guthrie, con la sua ballata di Tom Joad, il protagonista del romanzo di John Steinbeck, Furore, del 1939, emigrato con la famiglia dall’Oklahoma alla California, dove partecipa ad un drammatico sciopero degli stagionali raccoglitori di pesche. Il romanzo ispirò il film di John Ford, del 1940, con Henry Fonda, ma per chi non avesse avuto soldi per il libro o per il film, ecco la canzone di Woody che riassume la storia, sulla melodia della ballata tradizionale John Hardy.

Tra le tante canzoni di Guthrie, This Land Is Your Land, un inno del progressismo americano, ma George Bush ebbe l’ardire di usarla per la sua campagna elettorale del 2000, facendo imbestialire i democratici.

In Italia, il canto sindacale più conosciuto è l’Inno dei Lavoratori, con testo di Filippo Turati (1886), che riprende lo slogan che campeggiava sulle bandiere dei canut, i tessitori di seta di Lione che diedero vita a due rivolte imponenti nel 1831 e nel 1834, duramente represse: vivre en travaillant ou mourir en combattant (vivere del lavoro o morire combattendo).

Il clima politico degli anni Sessanta e Settanta; il lavoro di Gianni Bosio, Roberto Leydi, Michele L. Straniero sul canto popolare e politico italiano; il catalogo di case discografiche come I Dischi del Sole in seno alle Edizioni Avanti! (anni Sessanta-Novanta) e la Albatros, attiva dal 1970 al 1992; la presentazione della musica popolare italiana fatta al festival di Spoleto nel 1964 con lo spettacolo Bella Ciao, con Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Sandra Mantovani, e altri, che rivelarono un mondo popolare tutt’altro che bucolico ma segnato dal conflitto di classe, suscitando polemiche furibonde, contribuirono al formarsi di un canzoniere politico e sindacale.

Tra le canzoni, quelle delle mondine, come Amore mio non piangere; Sciur Padrun Da Li Beli Braghi Bianchi; Se otto ore vi sembran poche; Sebben che siamo donne; dei lavoratori dei campi, come Cade l’uliva; degli “scariolanti” delle bonifiche padane; della Maremma; dell’anarchico Pietro Gori: Noi vogliamo l’uguaglianza (1892) e  Addio Lugano bella (1895). Anche il cinema fece la sua parte. I compagni, di Mario Monicelli, del 1963, con Marcello Mastroianni, racconta le lotte operaie di fine Ottocento; nella colonna sonora, una canzone: La marcia della cinghia. Gli scioperanti affamati stringono la cinghia, scioperano, cantano: mangiamo pane e vento.

Nel 2002, Francesco De Gregori e Giovanna Marini hanno registrato un CD di canzoni politiche e sindacali, Il fischio del vapore. Oltre a lavori divulgativi come quest’ultimo, si segnalano studi approfonditi come i libri + cd di Franco Castelli, Emilio Jona, Alberto Lovatto, Senti le rane che cantano – Canzoni e vissuti popolari della risaia (Donzelli, 2005) e degli stessi autori più Sergio Liberovici, Le ciminiere non fanno più fumo – Canti e memorie degli operai torinesi (Donzelli, 2008). Un posto a sé merita l’inno anti-feudale sardo, Su patriotu sardu a sos feudatarios, noto anche come Procurade ‘e moderare, scritto da Francesco Ignazio Mannu nel 1795: «Procurade e moderare, barones, sa tirannia, / chi si no, pro vida mia, torrades a pe’ in terra! (Baroni, vedete di ridurre le vostre pretese da tiranni / perché altrimenti – siatene certi – vi riporteremo con i piedi per terra). Una versione aggiornata del canto fu proposta dalla FLM Sarda in occasione della marcia regionale per il lavoro del 1978.

La Marsigliese e l’Internazionale

La Francia presenta soprattutto canzoni politiche, a cominciare dai due inni rivoluzionari della Marsigliese (1795) e dell’Internazionale (1871). Da ricordare la filastrocca cantata dal monello di strada Gavroche che muore sulle barricate di Parigi del 1832 nel romanzo di Victor Hugo I miserabili (1862), che prende in giro i reazionari anti-illuministi: “Sono caduto per terra / tutta colpa di Voltaire! / Il naso nel rigagnolo / tutta colpa di Rousseau!”. Del tempo della Rivoluzione sono anche il Ça Ira e La Carmagnole. Ci sono poi le canzoni della Comune, repressa nel sangue nel 1871: Elle n’est pas morte e La Semaine Sanglante.

La Spagna progressista è rappresentata dalle canzoni anti-franchiste della guerra civile. La mia preferita è Si me quieres escribir, per la sua scherzosa ironia: “Se vuoi mangiare bene, a buon prezzo e ben cucinato / al fronte di Gandesa c’è una locanda // Sulla porta della locanda, sta il moro Mohamed / che ti dice: svelto, svelto / cosa vorresti magiare? // Il primo che servono sono granate a volontà / Per secondo, mitraglia, per ribadire il concetto”. La canzone è anche citata nella colonna sonora del film di Ken Loach Terra e Libertà, del 1995. Altre celebri canzoni: El Ejercito del Ebro/Viva La Quince Brigada; El Quinto Regimiento/Anda Jaleo.

“non dobbiamo disperare, l’inverno non durerà per sempre”

La canzone che rappresenta la Germania democratica e progressista è Die Gedanken Sind Frei, che risale al 1780: “i pensieri non si possono imprigionare”. Sulla Germania del 1848, segnalo il bel CD del gruppo tedesco Leipziger Folk Sessions, 18 aus 48 – Das Beste von der Barrikade (1998).

C’è poi un gruppo di canzoni ispirato alla guerra dei contadini stroncata nel 1525. Tanto i nazisti quanto gli spartachisti comunisti hanno ripreso e usato queste canzoni, dotandole di melodie laddove non era possibile rintracciare quelle originarie. Dai campi di concentramento viene Wir sind die Moorsoldaten, scritta e musicata nel 1933, che descrive la durezza della condizione dei prigionieri, prevalentemente politici, ma si chiude con una nota di ottimismo: non dobbiamo disperare, l’inverno non durerà per sempre”. Un concetto simile esprime una poesia di Bertold Brecht da cantarsi sulla melodia della Moldava (Lied Von Der Moldau): “Il grande non rimane grande / il piccolo nemmeno / la notte ha dodici ore / ma poi viene il giorno”.

Sempre a Bertold Brecht si deve la canzone del fronte popolare tedesco (Einheitsfrontlied), tardivo appello (1934) all’unità delle sinistre a fronte della crescita dirompente del nazismo, favorita anche dal settarismo comunista, cui lo stesso Brecht contribuì non poco. Molto belle le canzoni ebraiche in Yiddish della resistenza anti-nazista, come Schtil, di Nacht is ojsgeschternt (“Silenzio, la notte è stellata / e il gelo brucia forte / Ricordi quando ti insegnai / ad impugnare la mitragliatrice?”) e Dos Kelb, o Dona Dona, che Joan Baez rese popolare anche nel Folk Revival americano.

Per i Paesi scandinavi, segnalerei la danese Det haver så nyligen regnet, una canzone d’amore che si è prestata ad essere cantata e fischiettata come testimonianza di resistenza anti-nazista: “Nonostante la pioggia, nonostante il vento / Nonostante l’uragano che soffia dal Nord-Ovest / sarò sempre al tuo fianco!”. C’è poi Kringsatt Av Fiender (circondato da nemici), nota anche come Til ungdommen (Per I giovani). Poesia del Norvegese Nordahl Grieg (1936), musica dal Danese Otto Mortensen (1952). L’ispirazione originaria fu la guerra civile spagnola. É stato il canto conclusive delle cerimonie per i caduti del massacro di Utøya e Oslo del 22 luglio 2011.

In chiusura di questa piccola rassegna di canti del lavoro, sindacali e politici, la Varsaviana. Nasce come inno polacco di protesta di fine Ottocento, piacque molto in Russia conservando l’originario significato anti-zarista, prima nella rivoluzione del 1905 e poi nel colpo di stato bolscevico del 1917, con il quale però la canzone esce dal nostro quadro democratico, progressista, sindacale per arruolarsi in un regime che diventerà totalitario.

Roberto Campo

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