Violenze, arresti, coprifuoco e università chiuse. Così in Bangladesh il governo reprime il dissenso degli studenti

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30.07.2024

Le proteste sono iniziate il primo luglio, quando gli studenti della prestigiosa Università di Dhaka sono scesi in piazza per esprimere il loro dissenso contro la reintroduzione del contestato sistema di quote per l’assegnazione degli impieghi nel settore pubblico. Le manifestazioni si sono rapidamente estese, coinvolgendo prima la maggioranza degli studenti e poi, trasversalmente, ampie fasce di popolazione.

Seppur iniziate pacificamente, le proteste sono divenute progressivamente sempre più violente quando – secondo i resoconti dei testimoni – membri di associazioni studentesche vicine al partito di maggioranza, la Lega popolare Bengalese (Awami League), hanno iniziato ad attaccare i manifestanti. Il Governo ha reagito inviando la polizia e forze paramilitari per reprimere le contestazioni, compresa un’unità speciale antiterrorismo. È stato imposto un coprifuoco serale, le università sono state chiuse e il Governo ha ordinato un blocco internet per frenare il flusso delle informazioni e intralciare l’organizzazione delle manifestazioni.

Almeno 180 persone hanno perso la vita e oltre 2500 manifestanti, tra cui diversi leader del partito di opposizione, il Partito Nazionalista del Bangladesh, sono stati arrestati.

Per il Segretario Generale della CSI dell’area Asia Pacifico, Shoya Yoshida, la violenta repressione contro i manifestanti costituirebbe una grave violazione della libertà di pensiero e di riunione, come sancito da varie Convenzioni internazionali. Mentre Shakil Chowdhury, Segretario generale del Consiglio ITUC-Bangladesh, ha evidenziato l’impatto dei disordini sociali sui lavoratori: migliaia di persone impiegate nell’economia informale o nella platform economy, da settimane non percepiscono alcuna retribuzione come conseguenza del coprifuoco e delle chiusure imposte dal Governo.

In un comunicato del 26 luglio, la CSI Asia Pacifico ha espresso la propria solidarietà ai manifestanti, auspicando una rapida e pacifica risoluzione di “una crisi senza precedenti”.

Il casus belli che ha scatenato la rivolta è stata la decisione dell’Alta Corte del Bangladesh di ripristinare il sistema di quote per accedere alla pubblica amministrazione, abrogato nel 2018 in seguito a ulteriori proteste. Questo sistema venne introdotto nel 1972 dall’allora Primo Ministro, Sheikh Mujibur Rahman, considerato da molti il fondatore del moderno Bangladesh e padre dell’attuale Prima Ministra, Sheikh Hasina. L’obiettivo era garantire una certa stabilità economica a coloro che avevano combattuto durante la guerra di indipendenza dal Pakistan nel 1971. Inizialmente pensate solo per i veterani di guerra e i loro figli, le quote vennero estese nel 1997 e ancora nel 2010, includendo anche i nipoti dei “Freedom fighters”. Ulteriori quote sono state aggiunte per favorire donne, minoranze e persone con disabilità. Ciò significa che oltre il 56% dei posti pubblici è riservato, consolidando un sistema da molti considerato, ormai, totalmente iniquo.

Ogni anno, oltre 400 mila laureati competono per assicurarsi uno degli appena tremila posti disponibili nella Pubblica Amministrazione, fortemente ambiti per la stabilità e la sicurezza retributiva, al contrario di quanto offerto dal settore privato.

Domenica 21 luglio, la Corte Suprema è intervenuta sul caso, sospendendo la precedente sentenza e rimodulando le quote. Solo il 7% dei posti sarà riservato ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza, rispetto al 30% del precedente sistema. La sentenza, inoltre, ha abolito le quote a favore di donne e minoranze, mentre ha conservato una quota dell’1 per cento per portatori di disabilità.

D’altro canto, è improbabile che la decisione del massimo organo giuridico riesca ad attenuare le tensioni, che riflettono un più ampio risentimento e una rabbia contro un sistema economico-sociale sempre più iniquo nella redistribuzione delle ricchezze e delle opportunità.

Negli ultimi decenni, il Paese ha compiuto enormi progressi economici, con una crescita media del PIL del 6.6% annuo, trainata soprattutto dall’export di prodotti dell’industria dell’abbigliamento low-cost. Il livello della povertà si è ridotto significativamente, passando dall’11.8% nel 2010 al 5% registrato nel corso del 2022. Tuttavia, la pandemia da Covid-19 e la crisi inflazionistica hanno lasciato gravi conseguenze. Attualmente, il tasso di inflazione nel Paese si aggira intorno al 10%, determinando un significativo incremento del costo dei generi alimentari e del carburante.
Il tasso di disoccupazione giovanile è tre volte superiore a quello complessivo, attestandosi al 16.1% e – secondo i dati della Banca Mondiale – più di un quarto della popolazione alla ricerca di un lavoro è costituito da giovani tra i 15 e i 29 anni.
Inoltre, nel corso del 2023 il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha approvato un piano di sostegno al Paese di circa 4.7 miliardi di dollari. Al contempo, il Governo è in trattativa con la controparte cinese per un prestito da 5 miliardi di dollari per ripristinare le riserve valutarie estere nette precipitate sotto i 16 miliardi, appena sufficienti a sostenere tre mesi di importazioni e con il concreto pericolo di far cadere il Paese in una crisi della bilancia dei pagamenti.

La corruzione è un altro fattore che alimenta le proteste; secondo il Report per il 2023 della ONG Transparency International, il Bangladesh si è classificato al 149novesimo posto, su 180 Paesi, per il peggiore livello di corruzione.

Inoltre, negli ultimi anni le violazioni dei diritti umani sono aumentate. Nel 2018, il Governo ha promosso la Legge sulla sicurezza informatica (Digital Security Act) che ha rafforzato la censura online e ha attribuito alla polizia la potestà di effettuare perquisizioni e arresti senza previo mandato.
Diversi oppositori del Governo sono stati uccisi negli ultimi anni e, secondo i dati raccolti da Human Rights Watch, più di 600 persone sarebbero scomparse per mano delle forze dell’ordine. Mentre, secondo il Global Rights Index – il rapporto annuale pubblicato dalla CSI che valuta il rispetto dei diritti sindacali e dei diritti umani nei vari Paesi – il Bangladesh risulta essere tra le dieci nazioni con il più alto tasso di violazioni dei diritti dei lavoratori.

Le proteste odierne e la repressione che ne è seguita mostrano il lento deterioramento della democrazia e il crescente autoritarismo della Prima Ministra, Sheikh Hasina, colei che la comunità internazionale salutò come speranza per un futuro più democratico per il Paese quando nel 1996 venne eletta per la prima volta a Capo del Governo, ponendo fine ad una ventennale dittatura militare.

Il Bangladesh ha una lunga storia di proteste studentesche; gli studenti furono i primi a insorgere contro il Pakistan nel 1952 e i primi a morire durante la guerra di indipendenza nel 1971. Oggi, nuovamente in prima linea, lottano per sradicare le ingiustizie e far rivivere gli ideali per i quali la generazione del 1971 si è battuta.

Dipartimento Internazionale UIL

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