25 aprile. Le donne protagoniste della Resistenza

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25.04.2023

In una scena del film “Le quattro giornate di Napoli”, in cui si narra della sollevazione popolare nel capoluogo campano avvenuta tra il 27 e il 30 settembre 1943, c’è una scena in cui si vedono molte donne che si assembrano intorno a dei camion dell’esercito occupante. Era in corso un rastrellamento e molti uomini stavano per essere portati via. A strapparli alla loro sorte furono proprio le napoletane, che si avventarono contro gli uomini in divisa, liberando i prigionieri e mettendo in fuga i militari.

Lo straordinario film di Nanni Loy esemplifica bene come le donne italiane siano state elemento fondamentale per la nostra libertà.

Il tributo delle donne

Furono ben 70.000 quelle che parteciparono alla Resistenza contro il nazifascismo. Di queste, 35.000 sono state riconosciute combattenti; a 500 furono affidati compiti di comando, anche militare e quelle che ricevettero la medaglia d’oro al valor militare sono state 19.

Enorme il tributo di sangue e sofferenza: 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 2.756 le deportate nei lager tedeschi; 2.900 quelle giustiziate o uccise in combattimento; oltre 1.700 risultarono ferite e mutilate. 

L’ingresso delle donne nella resistenza viene fatto risalire ai fatti accaduti a Parma il 16 ottobre del 1941. Nella città emiliana si tenne una violenta rivolta in seguito all’ulteriore diminuzione giornaliera della razione individuale di pane. E furono maggiormente le donne che assaltarono un furgone della Barilla che lo trasportava. Ci si ribellava alla fame e a quella guerra voluta dal regime fascista. Anche un atto politico, quindi.

Come “pane e pace” gridavano anche tantissime operaie a Torino nel 1943, durante i grandi scioperi in uno dei centro industriali più importanti d’Italia e fondamentale allo sforzo bellico.

La mobilitazione

Quando il 9 settembre 1943 viene costituito a Roma il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale), anche le donne si mobilitano. Nascono così i Gruppi di Difesa della Donna e per l’Assistenza ai Combattenti della Libertà (GDD): formazioni partigiane pluripartitiche, costituite a Milano nel novembre dello stesso anno, ad opera di esponenti femminili dei tre principali partiti che si opponevano militarmente al nazifascismo, PCI, PSIUP e Partito d’Azione. 

Alla base dei GDD c’era l’intuizione che solo la componente femminile della società italiana avesse la possibilità di mettere in moto l’opposizione non armata al regime fascista, perché rappresentava la vera anima della vita civile in tempo di guerra. 

Durante gli anni della Resistenza, le donne si distinsero come combattenti, infermiere, staffette, personale indispensabile al rifornimento dei partigiani in montagna. Diedero aiuto a tantissimi rifugiati in fuga dalla guerra e dal regime., entrando in uno “spazio” fino ad allora riservato solo agli uomini: quello bellico.

25 aprile e emancipazione

Combattere per la libertà di tutti, per le donne equivaleva anche a lottare per la loro definitiva emancipazione. Sanno che con la liberazione conquisteranno il diritto di voto. Ma comprendono che ciò non è sufficiente, perché ottenere i diritti politici, vederli scolpiti nella Costituzione repubblicana, non vuol dire un automatico riconoscimento dei diritti civili. 

Intanto, finita la guerra la partigiana Ada Gobetti (moglie di Piero, ucciso giovanissimo dai fascisti), disse che “la storia della resistenza femminile ha un carattere anonimo e collettivo”. Tra la fine degli anni ’40 e la metà degli anni ’50, il ruolo della componente femminile nello sforzo bellico viene messo nell’ombra. La donna viene riportata nella dimensione “rassicurante” del privato, perché le speranze nel Dopoguerra vengono tradite.

Nel primo Parlamento repubblicano eletto a suffragio universale, le donne saranno solo 49: il 5% del totale dei seggi. All’Assemblea costituente eletta nel 1946, risultarono elette solo 21 donne su 556 componenti. 

Nei fatti, un ruolo pubblico per la donna ancora non esiste e le disparità nei confronti degli uomini rimangono enormi. Basti pensare a ciò che accade nel mondo del lavoro sulla parità salariale o il ruolo all’interno della famiglia, nonostante l’art. 3 della Costituzione. Problemi per altro presenti ancora oggi, a distanza di quasi ottant’anni.

A far parlare di nuovo, e nella giusta luce, della resistenza delle donne, saranno le donne stesse. 

Alla scoperta della donna partigiana

È del 1949, infatti, la pubblicazione del romanzo autobiografico intitolato “L’Agnese va a morire”, scritto da Renata Viganò che partecipò alla lotta partigiana. Un successo enorme, tradotto in 14 lingue, e vincitore del Premio Viareggio nello stesso anno.

Ma sarà con gli anni ’60 che si riscoprirà per davvero la donna partigiana, proprio nel periodo in cui l’Italia verrà investita da numerose e importanti manifestazioni antifasciste. 

Nel 1965 esce un documentario dal titolo “Le donne nella Resistenza” ad opera della regista e sceneggiatrice Liliana Cavani. Un vero capolavoro, in cui si intervistano le protagoniste; si ascoltano le loro storie, senza filtri. 

Tra loro Germana Boldrini, partigiana bolognese che diede il segnale di attacco nella famosa battaglia di Porta Lame, fondamentale per cacciare i nazifascisti da Bologna. O, Norma Barbolini, la quale aveva seguito il fratello, comandante partigiano, sulle montagne e che lo sostituì perché ferito durante un duro e vittorioso scontro a fuoco a Cerrè Solongo, uscendo da un accerchiamento.

Drammatico è il racconto di Adriana Locatelli, partigiana in armi, arrestata e torturata brutalmente su un letto di chiodi, con l’utilizzo di aghi nelle ginocchia per indurla a fare i nomi di suoi compagni. Ma lei non crollò.

Poi la storia di Marcella Monaco, moglie del medico del carcere di Regina Coeli. Marcella ebbe un ruolo fondamentale nella liberazione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. Capi partigiani, entrambi futuri Presidenti della Repubblica e condannati a morte senza processo dai nazisti. Della fuga diede subito conto Radio Londra, diffondendo la notizia che una patriota italiana aveva reso possibile la fuga. Era di lei che si parlava.  Intanto, da Regina Coeli si sentiva un grande trambusto per la fuga, mentre i due capi della resistenza erano a cinquanta metri dal carcere, nella casa di Marcella Monaco e del marito. 

Nessuna democrazia senza pari diritti e opportunità

Sarà il ’68 a irrobustire questa tendenza della valorizzazione del ruolo delle donne nella Resistenza, che si protrae negli anni ‘70 con un altro testo fondamentale – edito nel 1976 – dal titolo “La Resistenza taciuta”, di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina. Mentre, nelle sale cinematografiche, escono due film che hanno come protagoniste donne partigiane: l’adattamento del romanzo “L’Agnese va a morire”, di Giuliano Montaldo e “Libera, amore mio!”, di Mauro Bolognini.

Oggi è il 25 aprile, e val la pena ricordare questa storia non solo per il sacrificio di migliaia di donne che hanno lottato per la nostra libertà, ma perché siamo convinti dell’idea che nessuna democrazia sarebbe possibile senza la parità dei diritti e delle opportunità. 

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