I rischi del Metaverso e “la paura di essere tagliati fuori”

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21.04.2022

La rivista Mind del mese di aprile affronta alcune problematiche legate al metaverso, con un dossier che cerca di darci un’idea di un fenomeno il quale, allo stato dell’arte, non è per nulla definito.

Ogni tecnologia nuova porta con sé sempre un carico di incognite e timori per la nostra salute mentale individuale quanto sociale.

Si tende, in prima battuta, a parlare di alienazione, scollamento dalla realtà, violenza e dipendenza.

In questo campo gli esperti si dividono, pur mantenendo un atteggiamento di attesa. La suggestione, però, resta. «Il possibile arrivo di un mondo virtuale davvero immersivo, dove socializzeremo, lavoreremo, ci divertiremo e faremo acquisti sotto forma di avatar può far ipotizzare una sostanziale alterazione del tessuto sociale»?

Jeremy Bailenson, fondatore e direttore del Virtual Human Interaction Lab alla Stanford University, ritiene che solo un’osservazione di ciò che avverrà nel lungo periodo potrà dare risposte più attendibili. Oggi, nel mondo social che conosciamo, ci si incontra ancora con le rispettive identità e questo aspetto in futuro si perderà.

Peter Etchells della Bath Spa University si focalizza sui lati positivi del metaverso e della sua maggiore possibilità di connessione tra le persone. In questo, però, entrano in gioco le aziende, le quali devono adottare un approccio etico nello sviluppo tecnologico.

Condice Odgers, docente di scienze psicologiche presso l’Università della California chiarisce l’importanza di dedicare grande attenzione a bambini e adolescenti «naturalmente portati ad adottare con entusiasmo le novità tecnologiche, che però non vengono mai progettate pensando al loro sviluppo e alla loro sicurezza».

Il metaverso trae ispirazione dalla fantascienza, che ne ha concepito l’idea e ne ha esplorato gli sviluppi.

Matrix ha lasciato un segno profondo o racconti come La notte che bruciammo Chrome, scritto nel 1982 da William Gibson, che poi in Neuromante chiamerà cyberspazio «una rappresentazione grafica di dati ricavati dalle memorie di ogni computer del sistema umano […] linee di luce disposte nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati». Sarà poi il cyberpunk con Blade Runner a parlarci di città come Los Angeles nei suoi meandri infestati da reietti, hacker e truffatori «che lottano per la sopravvivenza contro multinazionali più potenti degli Stati». L’idea del cyberspazio deve la sua nascita ai videogiochi “cabinati”, che coinvolge fisicamente chi ci gioca. Ma il termine metaverso lo si deve a Neal Stephenson un autore di fantascienza statunitense noto soprattutto per le sue opere di genere postcyberpunk con una tendenza a divagare nell’esplorazione di argomenti di matematica, con il suo romanzo Snow Crash (1992), che fonde memetica, virus informatici e altri temi tecnologici con la mitologia sumera.

Satya Nardella, amministratore delegato di Microsoft, ha affermato che «il metaverso riguarda essenzialmente la creazione di giochi». Eppure, è uno “spazio” in cui si sta muovendo anche il mondo degli affari oltre che della ricerca. Infatti, il 28 ottobre scorso, Mark Zuckerberg, annunciando anche il cambio di nome al suo Facebook, che si chiamerà Meta, ha dichiarato che «siamo all’inizio del prossimo capitolo per Internet […]. La prossima piattaforma sarà ancora più coinvolgente: un internet incarnato, in cui sei nell’esperienza, non solo guardandola dall’esterno […]. Nel metaverso sarai in grado di fare quasi tutto ciò che puoi immaginare […]. Sarai in grado di teletrasportarti istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza dover prendere un treno-pendolari, ad un concerto con gli amici o nel salotto dei tuoi genitori […] il futuro sarà al di là di tutto ciò che possiamo immaginare».

Molti pensano che sia l’inizio della terza incarnazione di Internet. Ma, sottolineano nel dossier, c’è per le grandi piattaforme il problema che la tecnologia che avanza possa fargli perdere posizioni di prevalenza.

Zuckerberg starebbe scommettendo molti investimenti per orientare in modo vantaggioso e commerciale il “nuovo mondo”. Una sorta di corsa all’oro, rispetto a qualcosa che – affermano su Mind – in sostanza ancora non esiste e, volendo usare una bussola psicologica, si potrebbe sottolineare come «i brand di consumo sono come le persone, devono vivere nel mondo e conquistare la fiducia degli altri», creando degli «habitat virtuali».

Il profitto gioca una parte, ovviamente, fondamentale in questa corsa dei brand a immaginare il loro posto nel metaverso.

Ciò è descritto da un acronimo, FOMO, che sta per fear of missing out: la paura di essere tagliati fuori, in un mondo del marketing dove si vive con terrore la possibile perdita di competitività.

Il paradosso per gli autori del dossier sta anche nel voler definire il metaverso che, a conti fatti, non sembra essere diverso dal presente. Ma succede sempre che la fantasia costruisca mondi immaginari che poi «tra ritardi e vicoli ciechi si avviano a diventare realtà commerciali».

Non manca la domanda rispetto al fatto se questa guerra sul metaverso non fosse altro che l’ennesima battaglia tecno-commerciale per l’egemonia tra Cina e Usa.

In questo campo la Cina punta ad investire circa otto trilioni di dollari, alla ricerca di un “metaverso totalitario”. Ci sarebbe bisogno di una risposta americana che crei un nuovo sogno di libertà, così come è stato il Web libero degli anni ’90.

Usando una immagine ciclistica, più che una corsa pare di essere già a uno sprint. E il traguardo si fa fatica ancora a  vederlo.

@Raffaele Tedesco

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