Chi sono i “Working poor”

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26.01.2022

Si chiamano “working poor” o lavoratori poveri e non fanno più parte di una minima percentuale di lavoratrici e lavoratori. Il fenomeno è in aumento, soprattutto tra i soliti noti: donne, giovani, meridionali.

A pesare, tanto, è la crescita esponenziale delle diseguaglianze sociali che vengono puntualmente ignorate.

E che, però, generano conseguenze economiche che alla lunga verranno alla luce in tutta la loro drammaticità.

A poco servono gli indicatori della ricchezza, che spesso sommano redditi e patrimoni a livello familiare, senza tenere conto di tante variabili che contribuiscono a rendere più leggere, spesso insufficienti, le buste paga.

La realtà è che i working poor, chi, cioè, non guadagna abbastanza da superare la soglia di povertà, pur avendo un’entrata mensile, non riescono a tenere il passo con il costo della vita.

L’identikit non è sempre facile da stilare: da un lato ci sono quelle categorie di lavoratrici e lavoratori da sempre in difficoltà. Le variabili più comuni sono l’età (spesso i più giovani o i più anziani ma ancora in età da lavoro), il genere (le donne sono più penalizzate), il territorio (zone più disagiate del Paese, come il Sud Italia e alcune realtà più complesse), la formazione (a rischio sono i profili più bassi, comuni e meno specializzati).

Nello specifico, possiamo citare alcuni casi: gli stagisti, ad esempio, i giovani in generale che si affacciano al mondo del lavoro e ai quali in virtù della giovane età vengono proposti livelli retributivi inadeguati, il “popolo” dei part-time involontari, del lavoro irregolare, delle donne, dell’ormai sempre più presente lavoro su piattaforma (gig economy).

Ci sono, poi, i lavoratori che si sono ritrovati senza occupazione e hanno dovuto ripiegare su soluzioni temporanee, discontinue o inadeguate solo per sopravvivere. Tenendo però in piedi un bagaglio di impegni di spesa che appartenevano a un’altra realtà. E con in più un peso emotivo e uno scarto di competenze enorme e penalizzante per tutti.

A queste situazioni, si aggiunge il fenomeno del dumping contrattuale che porta a tenere ancora più basse le retribuzioni in alcuni particolari contesti. O ambiti in cui la stagionalità e l’intermittenza pesa fortemente sul reddito annuo complessivo.

Pesa, molto, inevitabilmente, anche la situazione familiare. La presenza di più figli, ad esempio, o il carico assistenziale per familiari disabili o molto anziani e senza altro reddito.

Il punto sconcertante, però, è che a rischiare di finire nella sacca dei working poor non sono solo i lavoratori monoreddito con più figli a carico. Sono diverse le denunce di famiglie anche con due redditi che non riescono ad arrivare a fine mese.   In Italia nel 2019 era working poor l’11,8 per cento dei lavoratori; la media europea è quasi 3 punti percentuali più bassa.

Un lavoratore povero, lo abbiamo già detto, è colui che pur lavorando non supera la soglia giusta di reddito per potersi mantenere da solo. Se cumulando gli stipendi in casa si arriva statisticamente a superare anche se di poco la soglia stabilita dalla mediana, di fatto il singolo stipendio è insufficiente a rendere autonoma la persona in questione. La questione, quindi, non è sull’indicatore economico familiare complessivo. Questo consente di guardare il dito, non la luna.

È necessario che la luce si accenda sulle trame più sottile che generano lo strappo: la spirale dei bassi salari dovuta anche al dumping contrattuale, l’intermittenza del lavoro e il precariato selvaggio, la scarsa formazione e il proliferare di settori cosiddetti “low skilled”.

Si pone forte il tema della redistribuzione della ricchezza – che va oltre la politica dei bonus e anche, volendo fare un passetto in avanti nei ragionamenti, degli indicatori economici come l’ISEE che, come detto in precedenza, spesso non restituiscono il riflesso reale delle condizioni economiche di una famiglia.

Si dovrebbe parlare più e meglio della qualità del lavoro e del lavoro di qualità.

Ci si sta muovendo lungo una strada socialmente, ma anche economicamente, pericolosa. In cui la forbice tra ricchi e poveri sta aumentando a dismisura.

Le conseguenze non sono inimmaginabili ed è necessario muoversi ora. Finché siamo in tempo.

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