SONO LE DONNE A PAGARE – ANCORA UNA VOLTA – LA CRISI

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23.12.2021

Ancora troppo spesso le donne sono negli elenchi delle “fragilità”. Esiste una “questione femminile” che tocca ancora tantissimi ambiti, sociali, economici, culturali, occupazionali.

Nel mondo del lavoro i dati sono inclementi: le donne, ancora una volta, stanno pagando il conto di una crisi molto forte dal punto di vista occupazionale.

La rappresentazione statistica resa nota dall’INAPP – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – sulla base del rapporto “Gender policies Report 2021” non dà spazio a interpretazioni positive. La componente femminile del mercato del lavoro sta pagando un prezzo più alto di quella maschile.

Nei primi sei mesi dell’anno, le assunzioni di donne sono inferiori a quelle degli uomini, indipendentemente dalle tipologie contrattuali. Si “salva” solo il lavoro intermittente.

Per una donna su due, insomma, la ripresa occupazionale è precaria e part- time. Senza contare i carichi – enormi – della gestione familiare.

Inutile negare che esista un problema occupazionale di genere.

Quando solo il 14% dei contratti per le donne è a tempo indeterminato e solo il 38% le stabilizzazioni, c’è poco da commentare in positivo. Il 49,6% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini.

Nel rapporto si parla, ampiamente, di un legame controverso tra il mondo del lavoro e il genere femminile: tantissimi gli sforzi, scarsissimi i risultati positivi.

Ebbene, nell’ambito della protesta dei sindacati dello scorso 16 dicembre, la questione era – ed è – all’attenzione particolare dei rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori. Le donne fanno parte della colonna dei profili più “fragili” e che hanno bisogno di risposte e tutele vere. Non è un orgoglio per un Paese che si definisce in crescita, sulla base delle stime di crescita dei punti percentuali del Pil.

La pandemia, così come negli altri contesti in cui le difficoltà erano già sostanziali, ha acuito il problema. Il gap di genere sul mondo del lavoro si è allargato e l’Italia resta tra i Paesi più arretrati in questo contesto rispetto agli obiettivi definiti dall’UE.

Il PNRR, in generale, ha stanziato diverse risorse per incentivare il lavoro femminile, ma non basta. Esiste ancora un problema culturale da dover affrontare. Innanzitutto, quello di cambiare l’approccio al problema. Non è una questione di genere, ma una questione economica. Lo sviluppo e la crescita dell’economia passano anche dal superamento di vecchie logiche che distorcono l’entità e la gravità del problema dell’occupazione femminile.

Le donne sono formate, preparate. Spesso, però, sono sole ad affrontare un enorme mole di lavoro di cura familiare. Altrettanto spesso, questa consapevolezza radicata, le esclude dai processi di selezione. Un enorme spreco di risorse economiche e umane. 

Per una donna è più difficile ottenere un posto di lavoro di qualità. Lo dicono i dati. Lo dice anche la “coscienza sociale”. È un fatto di cui siamo tutti consapevoli. E anche se non è bello affermarlo con semplicità, ammettere che esiste, realmente il problema è il primo passo per trovare soluzioni vere, reali.

Il sindacato, la Uil, lo ha fatto.

Nel mondo che vogliamo, le donne, sono, al pari degli uomini, risorse fondamentali per lo sviluppo del Paese. Nell’economia. Nel benessere. Non sono una “questione”.

Nella community di TERZO MILLENNIO è aperto già un dibattito sull’argomento. Parliamone insieme!

 

Redazione TERZO MILLENNIO

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