Violenza sulle donne: basta tacere è ora della giustizia!
25.01.2023
La violenza purtroppo ha diversi complici: alcuni consapevoli, altri meno.
La violenza e la brutalità di pensiero e di azione nutrono alcune persone di lusinghe e con il senso di colpa alimentano le vittime. La lotta alla violenza sulle donne è un compito arduo per una società basata da millenni sul patriarcato. Le donne, schiacciate nei secoli da una cultura che le vuole succubi, disponibili e sempre tre passi indietro rispetto agli uomini, continuano a camminare su un percorso accidentato.
I dati sull’occupazione parlano chiaro come le differenze in busta paga: la violenza si cela sotto molteplici aspetti e tutti non riconoscibili a prima vista.
La conta delle donne vittime di violenza prosegue incessante, come la distruzione sistematica dell’immagine pubblica che viene attuata quando una donna propone contenuti inediti e significativi mai proposti in precedenza.
Poi il sacrificio estremo di molte donne costringe la nostra società, da diversi decenni, con estremo ricorso all’ipocrisia, a un’inversione di marcia. Un cambiamento che parte da una presa di coscienza che attraversa i generi rispetto a una profonda ingiustizia che scorre nelle vene di un Paese come l’Italia, profondamente legato a riti ancestrali che si rinnovano di decennio in decennio nel rapporto uomo-donna, spesso anche inconsapevolmente.
Così la rabbia diventa strumento di ribellione, una reazione a un’ingiustizia subita, ed è proprio per questo motivo che è l’unica tra le emozioni primarie ad avere una forte connotazione politica. Come fa notare il filosofo Franco Palazzi ne “La politica della rabbia”, richiamando Susan Sontag, “la rabbia è stata sin dall’inizio sia malattia che metafora, un groviglio di significati dove medicina e politica, sapere e potere si sono avviluppati irrimediabilmente”.
Un’indagine condotta dalla BBC si basa sui rapporti “Gallup Global Emotion”, ovvero sondaggi condotti dalla società di analisi americana Gallup che misurano le esperienze positive e negative delle persone in tutto il mondo indica quanto le donne siano più arrabbiate rispetto agli uomini per la serie di motivi ben noti che si sono amplificati durante la pandemia.
Per questa ragione la sensibilizzazione contro la lotta alla violenza non può che partire dai luoghi collettivi dove avviene la crescita, l’educazione, la cultura e l’aggregazione sociale delle cittadine e dei cittadini del presente e del futuro. Scuole, università, associazionismo laico e cattolico non possono che farsi promotori di una rivoluzione femminista che ha bisogno di veri alleati.
Questo percorso deve ovviamente partire dalle istituzioni che hanno il dovere di prendere coscienza e responsabilità su quella che è la cultura della coesione sociale anche attraverso il recupero dello scarto emotivo, economico e sociale tra i generi. Famiglia, scuola, lavoro spesso sono muri di gomma su cui rimbalzano violenza e disagio. Muri di gomma in cui si schiantano le speranze delle donne.
Occorre abbattere queste barriere incominciando a sgretolare quell’intonaco fatto di sensi di colpa verso gli affetti e il senso di appartenenza verso un gruppo sociale o professionale. L’era delle buone intenzioni è finita, non basta più: occorre aderire con cuore, coscienza, cultura e anche con un po’ di sana rabbia alla causa contro la violenza sulle donne.
Basta tacere, diamo spazio a quel senso di giustizia che ogni tanto ci pervade quando non veniamo prese sul serio.
Sheeba Servetto
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