Tra MCU e Spiderman: una riflessione sulla società e i diritti civili

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19.01.2022

Ogni buon film trova ispirazione dalla vita che ci circonda e, a sua volta, si pone al servizio di una collettiva riflessione. Per dirla diversamente, la società si riflette nei film del proprio tempo e, in cambio, i film influenzano la società cambiandone le rappresentazioni, sfidando la nostra morale e trasformandone le opinioni. Vale anche per le storie dei supereroi che, a volte, ci permettono persino di ritrovare un po’ di quel “essere umani” che, forse, fatichiamo a rintracciare nella vita di tutti i giorni.

Un esempio molto chiaro ci è dato dall’ultimo film del MCU (Marvel Cinematic Universe): Spiderman No Way Home. Nell’intreccio della storia si ritrovano tutti e 3 gli Spiderman: da quello del 2002 con Tobey Maguire, alla saga intermedia di The Amazing Spiderman, fino all’ultima trilogia con protagonista Tom Holland. A noi viene offerta così la possibilità di riflettere sul personaggio e la sua evoluzione nel tempo.

Nella versione di Sam Raimi del 2002 l’uomo ragno è realmente un “amichevole Spiderman di quartiere”. L’intera narrazione è una profonda riflessione sociale e politica. Emerge anzitutto il contrasto tra il protagonista (un ragazzo appartenente alla classe operaia) e il nemico (un ricco miliardario), specchio di una società fortemente classista. E ancora i problemi con il welfare che inaspriscono le disuguaglianze economiche e sociali. Così come le difficoltà economiche di zia May, degli abitanti del quartiere e di Peter Parker stesso costretto a vendere foto di sé stesso pur di guadagnare dei soldi, anche al costo di gettare cattiva luce sul suo alter ego Spiderman. La riflessione sociale si estende anche nei nemici. È il caso dell’uomo sabbia, criminale per necessità, costretto a rubare per curare la figlia gravemente malata. C’è poi la riflessione sui forti poteri economici e l’impatto negativo delle multinazionali. Con un uso sbagliato della tecnologia – di per sé mero strumento neutro – arrivano, infatti, persino a corrompere l’animo umano trasformando Norman Osborn nell’avido Goblin.

Nella trilogia iniziata nel 2002, invece, l’uomo ragno è molto più fedele al fumetto. L’eroe è un giovane progressista alle prese con le problematiche socioeconomiche che plasmano i suoi nemici, personaggi inquieti divorati dal dilemma buono-cattivo. Mentre in The Amazing Spiderman è ancora possibile ritrovare alcune di queste tematiche sociali – la seconda saga di Marc Webb, di fatti, rappresenta un ponte di passaggio di un profondo cambio di prospettiva – tutto questo si perde, si trasforma, nella trilogia di Jon Watts. Peter Parker è ora un protetto delle multinazionali che ridefiniscono persino la sua stessa identità. Il capitalismo stesso è il buono della storia. Ora i cattivi non sono più i ricchi miliardari, anzi sono proprio loro i nobili eroi che si prendono cura del mondo.

Non tutto è negativo però. Difatti anche in questo caso il film rappresenta un riflesso della nostra società. Di certo l’uomo ragno ora non ha più tempo da dedicare al quartiere. Non è più “uno di noi” ma, piuttosto, un eroe del mondo intero che viaggia persino nello spazio per difendere la Terra. I film di Watts sono un inno al cosmopolismo e all’incontro tra culture diverse contro ogni forma di razzismo e xenofobia. Il miglior amico di Peter Parker è un ragazzo asiatico e la sua amata una giovane e determinata (sottolineando anche il tema della parità di genere e del femminismo) ragazza afro. Qui Spiderman parla di diritti civili e intercultura, anch’essi temi di grande attualità per i quali vale la pena di lottare. Manca, però, la critica al modello socioeconomico del capitalismo complice delle grandi disuguaglianze sociali del nostro tempo. È una trilogia poco politicizzata ma sa offrire comunque un cambio di prospettiva sul nostro tempo, ora dominato dal denaro e dal mercato, piuttosto che dalla centralità delle persone e delle loro problematiche.

La linea tra giusto e sbagliato è sottile, forse non esiste nemmeno. Ogni nuova visione del mondo è in grado di suggerire dei modelli ma il meglio lo si ottiene, come sempre, quanto più si è capaci di considerare l’una e l’altra prospettiva. Il denaro può essere un alleato e non necessariamente uno stigma quando messo realmente al servizio del progresso scientifico, economico ma anche sociale e culturale. E qui dobbiamo essere bravi noi, ognuno di noi. Soprattutto laddove chi ci rappresenta non è in grado di offrirci un nuovo modello di sostenibilità più giusto, più equo, più umano. Perché, come ci ricordano le parole di zia May, “c’è un eroe i tutti noi”. È nelle azioni che facciamo ogni giorno, per quanto piccole e insignificanti, che abbiamo l’occasione di dimostrarlo, magari con un po’ meno ego e con un ritrovato senso di comunità.

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