Silicon Valley: l’ennesima speculazione a danno di chi lavora

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24.11.2022

Basta un marchio di tendenza o un’azienda promettente, e il mercato si accende. Meglio, specula. In uno stato di “euforia collettiva”, i lupi di Wall Street muovono capitali e comprano azioni, puntando su quel brand o prodotto che sembra il cavallo vincente. Così, sulla scia dell’ottimismo, quotazioni e prezzi salgono vertiginosamente, allontanandosi dal proprio valore reale. È un pericoloso gioco al rialzo destinato a infrangersi contro l’ineluttabilità delle ragioni economiche. Perché le previsioni sono previsioni e, spesso, sbagliano. Perciò, l’entusiasmo non dura a lungo. Lascia presto il posto a una frenetica svendita delle azioni e allo spasmodico tentativo di coprire le perdite. Quotazioni e prezzi crollano e all’orizzonte non ci sono più profitti, ma debiti.

Il precedente: la crisi del 2009

È il terribile scenario della bolla speculativa: un termine tecnico diventato fin troppo familiare con la crisi del 2009. Il meccanismo è sempre lo stesso: finanza spregiudicata e titoli gonfiati. Allora fu messo in moto dalle banche statunitensi che iniziarono a erogare i famosi mutui subprime. Si trattava di prestiti per acquisti immobiliari concessi a cattivi debitori, anche omettendo la successiva crescita degli interessi, a vantaggio degli operatori di settore. Il rischio veniva poi gestito trasferendolo in pacchetti azionari, in gergo derivati, immessi sul mercato. In altre parole, in tutto il mondo, circolavano prodotti finanziari con un valore speculato sulla base di valori attesi da debiti insolvibili. Una vera e propria bomba a orologeria.

Tanto è vero che quando i cattivi debitori finirono per ipotecare la propria casa non solo i mutui non furono ripagati, ma i derivati precipitarono in borsa. Un effetto domino devastante che dalla finanza statunitense finì per colpire l’economia reale di tutto il mondo. Queste spericolate scelte di mercato bruciarono 2 milioni di posti di lavoro negli Usa e altri 4 milioni in Europa.

Il lupo di Wall Street perde il pelo ma non il vizio

Da allora il tema della finanza etica ha riempito le agende politiche internazionali, ma in borsa non si è smesso di giocare al rialzo. La recente ondata di lay-off nella Silicon Valley ne è la prova. A quanto pare anche le Big Tech sono cadute nella trappola della bolla speculativa. Dopo gli utili stratosferici registrati in pandemia, i giganti del digitale hanno dovuto fare i conti con riaperture e crisi energetica. Un binomio che ha smentito la speranza di profitti potenzialmente infiniti, deludendo mercati e investitori. Si è così palesata l’origine speculata, e non reale, delle loro quotazioni, rapidamente scese in picchiata.

A pagarne lo scotto, come sempre, sarà la forza lavoro. Ora che le prospettive di profitto sono ridimensionate, molti posti di lavoro sono in eccesso e c’è aria di licenziamenti.

Il caso Amazon

In tal senso, la vicenda Amazon può fare, purtroppo, da modello. I suoi profitti stellari durante il lockdown hanno innescato una spirale speculativa. Le quotazioni del Colosso di Bezos, infatti, sono aumentate tanto da poter assumere nuova manodopera e raddoppiare il tetto massimo dei compensi per i dipendenti del settore tech. Ma, come prevedibile, la favola è durata poco: il valore di Amazon era decisamente sovrastimato. L’impresa non ha retto il colpo delle riaperture e, dall’inizio dell’anno, i suoi tassi di crescita sono progressivamente diminuiti, raggiungendo il minimo storico degli ultimi dieci anni.

Un ridimensionamento non da poco che, stando al New York Times, costringerebbe Amazon a licenziare ben 10 mila persone. Per di più, guerra, inflazione e perdita di potere di acquisto continueranno a rallentare le vendite con conseguenti incertezze e proiezioni negative. Navigano a vista anche Meta e Twitter. Non a caso, Zuckeberg ha già licenziato 11 mila persone in esubero e Musk ha dimezzato i suoi dipendenti. Lo stesso hanno fatto Lyft, Stripe, Snap e altre aziende tecnologiche. Colossi e start up stanno tagliando migliaia di posti di lavoro svelando il lato oscuro della speculazione finanziaria.

La questione sociale

Il nodo cruciale sta nel fatto che mentre i grandi investitori tentano spericolati giochi al rialzo, milioni di stipendi sono messi a repentaglio. Perciò se da un lato investire è il primo passo per promuovere l’impresa e l’occupazione, dall’altro non può trasformarsi in una sfrenata caccia agli utili, incurante dei suoi costi sociali. La vita quotidiana delle persone si ritroverebbe costantemente in balia delle volatilità dei mercati, senza stabilità e garanzie. Dunque, la creazione di valore, non deve rispondere solo agli interessi del singolo investitore, ma deve essere ben integrata con i bisogni della società. Serve una finanza responsabile che valuti e gestisca i rischi tenendo conto dell’impatto sociale delle proprie scelte.  Serve un nuovo modello economico orientato alle persone e non solo ai numeri.

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