Produzione ridotta in Italia per la frutta e concorrenza sleale dall’estero

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19.05.2023

Dalle pere ai limoni, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine negli ultimi quindici anni in Italia si è ridotta sensibilmente la produzione della frutta.

L’allarme è stato lanciato dalla Coldiretti, la principale organizzazione agricola di rappresentanza, secondo cui la superficie coltivata a frutta si è ridotta a 516mila ettari con una perdita di oltre centomila ettari rispetto a 15 anni fa. 

Produzione frutta: Le piante più colpite

La situazione peggiore si registra per le nettarine, con la scomparsa di quasi la metà delle piante (-45%), per l’uva da tavola (-43%) e le pere (-34%). Estirpate anche una pianta di pesco su tre (-33%), una pianta di mandarino su 5 (-20%) e ben il 16% degli alberi di arance.  In controtendenza, invece, i kiwi che sono cresciuti 11%. 

Una strage di piante da frutto che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali, economia, lavoro, clima, ambiente e salute degli italiani.
Il settore ortofrutticolo nazionale, secondo le stime Coldiretti, garantisce all’Italia 440mila posti di lavoro, pari ad oltre il 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato, il 25% della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300mila aziende agricole che sono oggi a rischio, a causa di prezzi troppo bassi che non coprono i costi di produzione.

Il danno ambientale

Una situazione che preoccupa anche sul piano climatico e sulla capacità di assorbimento degli inquinanti: le coltivazioni, così come le foreste, possono generare benefici ecosistemici che non sono solo la rimozione di CO2 ma, ad esempio, il miglioramento della biodiversità e della qualità dell’aria, secondo un’analisi di Rete Clima. Una pianta adulta – precisa Coldiretti – è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili e un ettaro di piante elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno. 

Sul settore pesano poi i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42% con un impatto traumatico sulle aziende agricole.  L’impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale dai carburanti per la movimentazione dei macchinari alle materie prime, dai fertilizzanti agli imballaggi. Senza dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi degli eventi estremi che comportano danni ai raccolti anche a causa degli insetti e dei patogeni. A causa del surriscaldamento sono arrivati parassiti “alieni”, mai visti prima, che si sono accaniti sulle produzioni nazionali. 

Concorrenza sleale delle produzioni straniere

Ma a colpire il settore è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere con la frutta Made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. 

Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese – rivela Coldiretti -, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. 

E finché non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché – spiega la Coldiretti – i cinesi affrontano un dossier alla volta. Ma porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico.

Alle barriere commerciali si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale – denuncia Coldiretti – con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. 

Un esempio sono le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, ma anche l’uva dell’Argentina e le banane del Brasile gravati da pesanti accuse del Dipartimento del lavoro Usa per utilizzo del lavoro minorile, ma con i quali l’Ue ha comunque avviato l’accordo commerciale di libero scambio Mercosur.

Ufficio Comunicazione UILA

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