No “ordem” no “progresso”. L’attacco di Brasilia

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18.01.2023

Lo scorso 8 gennaio a Brasilia, un gruppo pericolosamente numeroso di sostenitori dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro ha assaltato i luoghi simbolo della già vacillante democrazia brasiliana. Le modalità con cui si è compiuto l’evento hanno ricordato in modo inquietante i fatti del 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti, quando i sostenitori dell’ex presidente Donald Trump hanno fatto irruzione nel campidoglio a Washington, ma la portata dell’assalto delle istituzioni a Brasilia è stata addirittura più vasta rispetto a quella di Capital Hill. Centinaia di migliaia di persone, convinte che Lula abbia vinto le elezioni presidenziali in modo irregolare, hanno fatto irruzione nelle sedi della corte suprema, del parlamento e del palazzo presidenziale, nella piazza dei Tre poteri della capitale brasiliana.

La vicenda fa temere una diffusione delle rivolte e dei tentativi di golpe da parte di gruppi e movimenti di estremisti di destra. Molti di questi erano accampati a Brasilia da mesi, mentre altri sono arrivati in autobus nei giorni precedenti per partecipare, con tanto di selfie e altre prove incriminanti postate con incuranza sui social network, alla violenta manifestazione del dissenso fomentato a suon di fake news, propaganda sciovinista e retorica incendiaria da politici bolsonaristi che hanno alimentato per anni un flusso costante di disinformazione e razzismo.

L’attacco di Brasilia rappresenta la minaccia più grande per le istituzioni repubblicane brasiliane dalla fine della dittatura militare nel 1985, così come pianificato e realizzato da sedicenti patrioti che si rifiutano di riconoscere le sconfitte elettorali, si aggrappano ad accuse infondate di brogli e, dunque, non rispettano i principali istituti dello stato di diritto, mettendo in grave pericolo la tenuta sociale della più grande democrazia sudamericana.

Il neoeletto presidente Luiz Inácio Lula da Silva dovrà fare ricorso a tutta la sua abilità politica per gestire un paese che già l’esito elettorale, con una vittoria per 51% a 49%, aveva dimostrato essere pericolosamente spaccato. Mentre Bolsonaro si trovava negli Stati Uniti, dove era volato qualche giorno prima della proclamazione del suo rivale, Lula ha immediatamente e comprensibilmente condannato gli attacchi e definito i manifestanti dei “vandali, fascisti e fanatici”, puntando il dito proprio contro il suo predecessore e i suoi collaboratori – tra cui l’ex ministro della giustizia Anderson Torres, su cui pende un mandato d’arresto – di aver istigato alla rivolta.

Il compito di Lula sarà quello di estirpare la minaccia alla sicurezza e alla stabilità del paese rappresentata dalle bande violente di estrema destra affrontando le condizioni sociali ed economiche che hanno favorito la loro crescita. La transizione verso il bolsonarismo, giunta al suo apice con l’elezione del 2019, è stata segnata dalla crisi economica, dagli scandali di corruzione all’interno del Partido dos Trabalhadores – per i quali Lula era stato ingiustamente incarcerato, prima di essere assolto in via definitiva – e dal collasso generale del sistema politico brasiliano. Durante questo periodo la deregolamentazione del mercato e lo sfruttamento delle persone e delle risorse naturali del paese sono stati celati dietro la retorica che esaltava la libertà individuale, l’iniziativa e lo spirito imprenditoriale, mentre il razzismo e il sessismo sono stati presentati come una difesa dei valori cristiani, a cui molti brasiliani si sono aggrappati di fronte all’insicurezza economica e alla precarizzazione della propria esistenza.

Il compito di Lula, ex sindacalista e 39° Presidente del Brasile, sarà dunque quello di ridimensionare e regolamentare un sistema capitalistico che mostra il suo risvolto predatorio e violento nei luoghi del mondo, come l’America Latina, in cui le istituzioni democratiche sono deboli e dove, per questo, lo sfruttamento, le ingiustizie e le inuguaglianze dilagano tra ampie fasce della popolazione. Se ciò sarà fatto, il motto “Ordem e Progresso” che campeggia sulla bandiera brasiliana potrà finalmente realizzarsi concretamente.

Questa cultura della violenza e dell’odio politico va assolutamente condannata. Come UIL saremo sempre impegnati con i sindacati democratici ed indipendenti a livello internazionale per contrastare questa nuova ondata di aggressione alla democrazia ed alle libertà faticosamente conquistate in tanti paesi che oggi, purtroppo, vivono tentativi di restaurazione di regimi totalitari.

Dipartimento Internazionale UIL

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