La terza forza mancata nella politica italiana (ma non nel sindacato)

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11.03.2022

La parabola della Repubblica, di Angelo Panebianco e Massimo Teodori (Solferino, 2022). I due autori sono amici e hanno condiviso parte della vicenda del Partito Radicale e delle battaglie per i diritti. Sottotitolo: ascesa e declino dell’Italia liberale. Un po’ una forzatura, il sottotitolo. Il libro non parla solo dei liberali, ma dei laici in genere, degli azionisti, dei repubblicani, dei radicali e del socialismo democratico e autonomista, dei riformisti in genere. Di tutte quelle forze e quei personaggi che avrebbero voluto o potuto dare vita alla terza forza tra democristiani e comunisti, ma non ci riuscirono. Diedero sì un grande contributo alla Storia della (prima) Repubblica, ma non seppero costituirsi in forza politica.

Il prologo del libro si riassume in una domanda: se Giacomo Matteotti non fosse stato assassinato, che piega avrebbe potuto prendere la nostra storia? La risposta: Matteotti sarebbe probabilmente divenuto l’autorevole riferimento per i socialisti autonomisti e avrebbe potuto contrastare nel 1948 il corso frontista del PSI come aveva fatto negli anni Venti insieme al sindacalista Bruno Buozzi e a Claudio Treves, quale segretario dello PSU, il Partito Socialista Unitario di Filippo Turati. Apprezzabilissimo il riferimento a Bruno Buozzi, in un lavoro che per il resto trascura il sindacato, anche quando – come vedremo – sarebbe stato molto opportuno tenerne conto. Il suo assassinio ad opera dei nazisti in fuga da Roma, nel giugno del ’44, privò il sindacato italiano della figura più autorevole, la migliore incarnazione del riformismo della CGdL del 1906-26. Oltre che di Giacomo Matteotti, Benito Mussolini e il Fascismo furono responsabili della morte di Piero Gobetti e di Giovanni Amendola e dell’assassinio di Carlo e Nello Rosselli. Democratici-liberali e/o social-riformisti, leader antifascisti non comunisti, che avrebbero potuto svolgere un gran ruolo nell’Italia del dopoguerra, rendendo meno minoritario lo spazio liberal-democratico, laico e socialdemocratico.

Molti personaggi di quest’area furono protagonisti nel dopoguerra, ma mancarono l’obiettivo della costruzione della terza forza tra le due chiese dominanti. Tra questi, Panebianco e Teodori ricordano Ivanoe Bonomi, Ferruccio Parri, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Leo Valiani, Piero Calamandrei, Randolfo Pacciardi, Ernesto Rossi, Ugo La Malfa, Nicola Chiaromonte, Adriano Olivetti, Mario Pannunzio, e tanti altri. Soprattutto, è al livello della politica che l’obiettivo della terza forza venne mancato, da Bettino Craxi a Marco Pannella.

Si diceva che nel libro il sindacato è pochissimo presente, se non per il bel riferimento a Bruno Buozzi. Soprattutto, non ci si accorge che la terza forza che non venne costruita in politica, è stata realizzata nel sindacato italiano. La UIL, fondata il 5 marzo del 1950, nacque a dispetto dell’orientamento americano e vaticano, nonché democristiano, a riproporre anche nel sindacato lo scontro bipolare della guerra fredda e delle elezioni del 1948. Pochi avrebbero scommesso sulla sua possibilità di sopravvivere. E invece, ecco che abbiamo appena celebrato il 72° compleanno dell’Unione Italiana del Lavoro, un’organizzazione con ben più di 2 milioni di iscritti, il pezzo più grande e più in salute di quel mondo di idee, valori, personaggi, proposte, culture politiche riformiste.

Di Roberto Campo

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