La pesca italiana lotta per la sopravvivenza del settore e del lavoro
27.05.2023
Le marinerie di tutta Europa si sono recentemente mobilitate a difesa del settore della pesca, messo a rischio dal piano di azione Ue sugli ecosistemi marini, approvato recentemente dalla Commissione Ue (“Proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente”) che prevede, tra l’altro, l’estensione dal 12 al 30% delle Aree marine protette (Amp) nelle acque europee e di eliminare gradualmente la pesca a strascico in queste aree entro il 2030, vietandola anche in tutte le Amp di nuova costituzione.
A rischio migliaia di posti di lavoro
Si tratta di una scelta ritenuta sbagliata dalla Uila Pesca, basata su un pregiudizio “ideologico” e non su dati scientifici, che condannerà il settore e la pesca nel Mediterraneo, già in difficoltà, alla scomparsa e alla perdita di migliaia di posti di lavoro, colpendo in particolare la pesca a strascico, che è la più produttiva del nostro paese e da cui provengono i 2/3 del pescato nazionale e che farà crescere ulteriormente le importazioni di pesce (che già oggi rappresentano l’80% dei consumi interni) da paesi con standard di sostenibilità ambientale e sociale inferiori a quelli applicati alla pesca europea.
Un pregiudizio basato sul fatto che la responsabilità dell’impoverimento di risorse dipenda tutto e solo dal sovrasfruttamento e non anche dall’inquinamento, dagli effetti del riscaldamento globale e da altre tipologie di utilizzo e sfruttamento delle aree marine; un pregiudizio, inoltre, che mortifica i grandi sforzi già fatti e sacrifici subiti dal settore nel corso degli ultimi 20 anni sul fronte della sostenibilità.
Pesca e acquacoltura devono diventare sostenibili
La politica europea dovrebbe mirare a garantire che le attività dei settori pesca e acquacoltura siano sostenibili nel lungo termine dal punto di vista ambientale e che vengano gestite in modo coerente con gli obiettivi relativi ai benefici economici, sociali e occupazionali da raggiungere.
Al contrario, l’eliminazione graduale della pesca a strascico non considera adeguatamente l’implicazione economica e sociale di questi obiettivi.
La situazione del settore richiede un approccio ecosistemico, in cui non sia la sola pesca a pagare tutto il prezzo dei provvedimenti adottati, che preveda l’inserimento di altre misure che possano far fronte all’impatto dannoso degli altri fattori di rischio.
Quali fattori causano la crisi del settore della pesca?
Il tema della sostenibilità della pesca si scontra con un equivoco di fondo: i pescatori vengono additati come unici responsabili della salute delle risorse e dell’ambiente marino, mentre la riduzione delle riserve ittiche dipende anche e soprattutto dall’inquinamento, dai rifiuti marini, da altre attività legate all’uso del mare, oltreché dal cambiamento climatico.
Occorrerebbe quindi anche considerare, misurare e intervenire anche sulle altre cause che incidono sullo stato delle popolazioni ittiche.
La politica europea, al contrario, si limita a decidere restrizioni e limitazioni alla pesca, in particolare nel Mar Mediterraneo. Ogni anno la Commissione Europea stabilisce limiti alle giornate in cui i pescatori possono lavorare (e quindi produrre reddito), fissa quote oltre le quali non possono essere pescate determinate specie ittiche (es. tonni, acciughe o gamberi) e introduce norme tecniche per limitare la capacità di cattura dei pescherecci.
La flotta peschereccia italiana si è ridotta di oltre il 30%
Le misure di contenimento dello sforzo di pesca hanno avuto immediati riflessi sulla capacità di cattura dei pescherecci: la produzione della pesca marittima nazionale continua, inesorabilmente, a diminuire per effetto di queste politiche. Negli ultimi vent’anni la flotta peschereccia italiana si è ridotta di oltre il 30% e si sono persi 20.000 posti di lavoro ma la situazione degli stock ittici anziché migliorare è costantemente peggiorata.
Occorre quindi cambiare rotta e occorre farlo in fretta prima che la pesca italiana scompaia definitivamente e, con essa, i pescatori che, non bisogna dimenticarlo sono quelli che hanno approntato catene di solidarietà per aiutare le famiglie in difficoltà durante il lockdown; sono quelli che, nel canale di Sicilia, lasciano le reti in mare per soccorrere imbarcazioni di migranti alla deriva; sono quelli che partecipano alle campagne di rimozione delle plastiche dai fondali marini, anche rinunciando a parte dei propri guadagni.
L’Ue e gli Stati Membri hanno il dovere di proteggere e sostenere un settore già in difficoltà che offre posti di lavoro, prodotti proteici sani con un’impronta di carbonio ridotta, e contribuisce alla sicurezza alimentare europea. E hanno il dovere di tutelare le comunità che dipendono economicamente e socialmente dalla pesca e, soprattutto, la dignità dei pescatori.
Ufficio Comunicazione UILA
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