Infermiere di comunità: figura, potenzialità, ci sarà veramente questa figura?
10.11.2023
I cambiamenti sociodemografici del Paese degli ultimi anni hanno portato inevitabilmente i territori a dover rispondere a nuovi bisogni di salute. Il progressivo invecchiamento della popolazione, l’incremento di persone con almeno una patologia cronica, la progressiva semplificazione della dimensione e composizione delle famiglie, la riduzione del 50% degli anni di vita liberi da disabilità nelle persone con più di 65 anni, fino alle sostanziali differenze socioeconomiche, sono tutte caratteristiche che richiedono un modello assistenziale differente da quello centrato sull’ospedale, orientato verso un’offerta territoriale, che valorizzi un approccio più focalizzato sul contesto di vita quotidiana della persona.
L’assistenza sanitaria territoriale diventa, quindi, luogo elettivo per attività di prevenzione e promozione della salute. L’infermiere di comunità è quel professionista, dipendente del Sistema sanitario nazionale e con un Master di I livello, che si inserisce perfettamente in questa dialettica tra comunità, famiglia, persona e sistema solidale e che è incaricato di incrementare la gestione proattiva dei bisogni di continuità assistenziale e della responsabilizzazione dei pazienti sugli stili di vita e il self care. Il Dm 77/2022, recante “Nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Ssn”, per essere attuato, secondo Agenas, richiederebbe 1 infermiere di comunità ogni 3 mila abitanti. Ma questi professionisti risultano introvabili a causa della scarsa attrattività della professione, dei salari fermi al palo e inferiori del 30% alla media europea, dello stress psico-fisico cumulato per carenza cronica di personale e del mancato riconoscimento economico e professionale.
L’infermiere di famiglia e comunità
Come Uil Fpl, già nel 2020, avevamo riconosciuto ed evidenziato come la strutturazione della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità, all’interno del Distretto, potesse offrire un contributo necessario e importante per garantire, attraverso la presa in carico anche domiciliare dei casi, l’individuazione precoce della malattia, la prevenzione delle complicanze, la gestione delle cronicità e non ultimo la riduzione del sovraccarico sui Pronto soccorso e sugli ospedali inserendosi perfettamente in questo scenario professionale. Ad oggi, come evidenzia la stessa Agenas, in Italia, a seguito del DL.34/2020, il numero di infermieri di famiglia o di comunità effettivamente occupati nei Servizi risulta essere ancora troppo basso rispetto a quanto previsto dalla normativa (circa 1.380 al 25 giugno 2021, rispetto ai 9.552 previsti dal legislatore), con una disomogenea distribuzione sul territorio nazionale.
È necessario che sia sostenuto il superamento del modello prestazionale, che sinora ha caratterizzato l’attività degli infermieri nei servizi territoriali e che l’IFoC svolga una funzione integrata e aggiuntiva a tali interventi, attraverso la realizzazione di modelli di prossimità e di iniziativa. Va data la possibilità di condividere, in modalità strutturate, lo stesso bacino di utenti, definito e circoscritto sulla base di criteri geografici, con gli altri professionisti, tra cui in particolare i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Si deve, infine, arrivare alla creazione di una vera équipe multiprofessionale che si costituisca in relazione alle caratteristiche sociali ed epidemiologiche, per rispondere con prontezza ed efficacia ai bisogni della comunità e per divenire un punto di riferimento per la popolazione assistita.
Ufficio Comunicazione UILFPL
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