Il ritorno del libero sindacato

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03.06.2022

Il Patto di Roma è l’accordo firmato il 9 giugno 1944 (anche se il documento riporta in calce la data del 3 giugno 1944) che segna la rinascita del sindacalismo italiano dopo la fine del regime fascista. Il patto fu negoziato tra comunisti, democristiani e socialisti – il Partito d’Azione si lamentò molto per essere stato escluso – e diede vita alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL). Bruno Buozzi, che ne fu il maggiore artefice, non lo poté firmare, essendo stato assassinato dai nazisti in fuga da Roma, il 4 giugno 1944. Diversamente dalla CGdL del 1906, della CGIL del 1944 fecero parte anche i cattolici. Questa CGIL-di-tutti visse pochi anni. Il clima bipolare della guerra fredda subentrò a quello unitario. Dal 1948, cominciarono scissioni che nel 1950 portarono alla nascita della UIL e della CISL.

Bruno Buozzi annullò un tentativo del gennaio 1927 dell’ala di D’Aragona di scioglimento della CGdL

Buozzi avrebbe preferito una maggiore continuità con l’esperienza della CGdL, di cui nel 1925 era diventato segretario generale, su una linea intransigente nei confronti dei fascisti, indisponibile come fu a passare sopra alla pregiudiziale della libertà. In esilio a Parigi dalla fine del 1926, Bruno Buozzi annullò un tentativo del gennaio 1927 dell’ala di D’Aragona di scioglimento della CGdL. Così ne assicurò la prosecuzione dell’attività in esilio. Questa scelta permetterà alla CGdL, e a Bruno Buozzi, di avere un ruolo cruciale nella riorganizzazione del sindacalismo libero in Italia nel secondo dopoguerra.

Il movimento dei lavoratori non attese il crollo del regime per muoversi.  Ma anzi diede vita a coraggiosissimi scioperi già nel ’43 e poi ancora nel ’44.

Nel 1943, il ministro Piccardi del governo Badoglio si rapportò con il solo Buozzi per discutere del commissariamento dei sindacati fascisti. Buozzi lo convinse a non lasciare fuori i comunisti, ma il suo ruolo era chiaramente preminente. Nel ’43, fu Buozzi a firmare con Confindustria l’accordo per il ritorno delle Commissioni Interne in fabbrica. I comunisti soffrivano non poco il carisma e il ruolo di Buozzi, come testimoniano le parole di Scoccimarro (non accetteremo più una posizione di subordinazione del nostro rappresentante rispetto a Buozzi, sarà già molto concedere a lui una posizione di parità) e il tentativo di Roveda di metterlo in minoranza nello stesso PSI.

Nondimeno, il ruolo di Buozzi fu decisivo e buono il rapporto con Giuseppe Di Vittorio e Achille Grandi. Sergio Turone, nella sua celebre Storia del Sindacato in Italia – dal 1943 al crollo del comunismo (Laterza 1992), riporta un articolo di Giuseppe Di Vittorio pubblicato sull’Unità del 4 giugno 1954, decimo anniversario dell’assassinio di Buozzi. Nell’articolo si rievocano con commozione gli incontri tra Di Vittorio e Buozzi nella prigione parigina della Santé dove erano rinchiusi entrambi nel 1941, con “un furtivo toccarsi di mani e un saluto bisbigliato, subito interrotto dall’urlo brutale di un guardiano.”

LA FIRMA DEL PATTO DI ROMA

Al posto di Buozzi, assassinato dai nazisti il 3 giugno 1944, il Patto di Roma lo firmò, con Di Vittorio e Grandi, Emilio Canevari; il vero numero due dopo Buozzi era Oreste Lizzadri. Tuttavia era, nel partito socialista, dell’ala estremista e pro-fusione con il PCI, ed inoltre era in missione al Sud. Lizzadri verrà poi nominato dal Partito Socialista nella triade dirigente della CGIL unitaria, con Di Vittorio e Grandi. Un documentino di due pagine che lasciò in sospeso molte questioni che il sindacato italiano dovrà poi affrontare, alcune irrisolte ancora oggi. Ma intanto il Patto di Roma restituiva ai lavoratori italiani il libero sindacato.

La CGIL unitaria nata con questo patto, come è noto, durò pochi anni. La CGIL fu creata per diretta iniziativa dei tre grandi partiti antifascisti di massa. Un’unità costruita su un accordo fra partiti non poté sopravvivere in una fase di aperto disaccordo fra quegli stessi partiti quale quello indotto dalla guerra fredda. Resta la domanda senza risposta su come sarebbe potuta andare se Bruno Buozzi fosse sopravvissuto.

 

Roberto Campo

 

*Fonte documento originale: Fondazione Gramsci Onlus, Archivio del Partito comunista italiano 1943/’44, mf. 063/1424-25, Roma

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