IL PILASTRO SOCIALE EUROPEO: UN ANNIVERSARIO IMPORTANTE

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17.11.2022

Il 9 settembre del 2015 il neoeletto presidente della Commissione europea Junker, nel corso del suo primo discorso sullo stato dell’Unione, lancia l’idea di un’ampia consultazione pubblica al fine di implementare il cosiddetto “pilastro europeo dei diritti sociali”, con la palese volontà di stemperare quella “frigidità sociale” che aveva caratterizzato la costruzione dell’Unione Europea fin dai suoi esordi.

Una tiepidezza che – in base alla comune ricostruzione – avrebbe connotato i Trattati sin da quello istitutivo di Roma del 1957. La ragione viene usualmente ricondotta alla (presunta) vocazione esclusivamente economica dell’istituenda Comunità Europea, giacché essa si sarebbe (pre)occupata esclusivamente di garantire le libertà economiche e, più generale, di assicurare il buon funzionamento del mercato comune.

Durante i negoziati per la stipula del Trattato di Roma, il primo ministro francese Guy Mollet si batté perché l’armonizzazione delle politiche sociali nazionali venisse assunta dalla nuova Comunità come una precondizione dell’integrazione dei mercati dei futuri paesi membri. L’opposta visione, sostenuta soprattutto dalla Germania, secondo cui l’armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, lungi dal dover essere imposta come condizione preliminare dell’instaurazione del mercato comune, sarebbe piuttosto seguita spontaneamente, almeno nel medio periodo, come conseguenza pressoché certa e automatica del processo integrativo. Le politiche di Welfare sarebbero rimaste appannaggio degli Stati. La Comunità manteneva un margine di intervento in materia soltanto residuale, focalizzato su un possibile intervento in caso di concorrenza sleale, impattante su una virtuosa costruzione del mercato unico, con conseguente riduzione degli standard interni di protezione sociale dei singoli Paesi.

Sarà soltanto con l’approvazione dell’Atto unico del 1986 che l’Europa comincerà a rivedere il suo atteggiamento verso i diritti sociali. Nel 1989 verrà approvata la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. Il tutto al fine di costruire uno spazio politico che abbia come obiettivo prioritario la coesione economica e sociale.

Ma mentre a Maastricht rimase assente ogni riconoscimento di veri e propri diritti sociali, con l’approvazione del successivo Trattato di Amsterdam (1999) sarebbe emerso nel diritto dei Trattati il principio del coordinamento delle politiche dell’occupazione, sia pur nel quadro delle esigenze di bilanciamento tra la diversità delle misure nazionali.

Sarà con la Carta di Nizza che si imporrà a livello europeo il problema del riconoscimento e della garanzia dei diritti sociali, che irrompe nel diritto primario con l’attribuzione alla Carta della stessa efficacia giuridica dei Trattati ad opera del Trattato di Lisbona.

Come si può notare, se pur solo brevemente, il cammino verso un’emersione dei diritti sociali nella dimensione europea e la loro (ancora difficoltosa) parificazione alle cosiddette libertà economiche è stato un cammino lento, tortuoso e ancora incompleto. Quello del Pilastro europeo dei diritti sociali, siglato il 17 novembre 2017 a Goteborg dal Consiglio dell’UE, dal Parlamento europeo e dalla Commissione durante il vertice sociale per l’occupazione equa e la crescita, di cui oggi ricorrono i cinque anni dalla stipula, è di questo processo in fieri una tappa fondamentale.

Esso, e forse non è un caso, fu stipulato in un periodo di crisi economica e instabilità molto grave; anni in cui la governance europea era caratterizzata dalla cosiddetta austerity, basata su politiche di bilancio restrittive o di rigore da parte dello Stato e non di rado fatta di tagli alle spese pubbliche al fine di ridurne il deficit.

L’approvazione del Pilastro europeo dei diritti sociali è, tra l’altro, un modo tangibile per sottolineare che non è più e non solo il mercato il vero fulcro del processo d’integrazione europea. Con esso si mira alla costruzione di un mercato del lavoro equo e veramente “paneuropeo” per la protezione dei lavoratori. Soprattutto, tenendo conto “delle mutevoli realtà delle società europee e del mondo del lavoro”, prevedendo, tra l’altro, pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque e protezione sociale e inclusione.

Il Pilastro ha poi cominciato a ‘contaminare’ positivamente i meccanismi del Semestre europeo, riequilibrando dall’interno lo strabismo che affliggeva sin dalle origini la governance economica dell’UE.

E se durante questi anni difficili di pandemia e guerra l’Unione Europea è riuscita a dare risposte sociali importanti e impensabili solo pochi anni fa, è la testimonianza che quella del Pilastro europeo dei diritti sociali non è solo una data da ricordare in senso celebrativo, ma un punto di transito fondamentale per la costruzione di una comunità politica più equa e giusta.

Come è stato giustamente affermato “il DNA della questione sociale […] è stato ormai inoculato” nel corpo vivo dell’Unione europea, “come parte integrante della sfera più interna delle sue politiche”. Ora bisogna solo andare avanti.

Raffaele Tedesco

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