Il contratto a chiamata: flessibilità o precarietà? Focus sul settore Turismo.
06.12.2022
Cos’è?
Il lavoro intermittente (detto anche “a chiamata” o “job on call”) è un contratto di lavoro subordinato in cui il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione in modo “intermittente”, con contratto a tempo determinato oppure indeterminato, come disciplinato dal dlgs 81/2015. Nel caso di un contratto a tempo determinato intermittente, il limite previsto è di 400 giornate di lavoro in tre anni.
Quando è possibile stipulare un contratto a chiamata?
Il contratto a chiamata può essere attivato in presenza di situazioni soggettive, legate all’età del lavoratore oppure oggettive.
Per quanto riguarda le situazioni soggettive, è possibile assumere con questo contratto persone che non hanno ancora compiuto 24 anni di età o persone che abbiano superato i 55 anni (anche pensionati).
Parlando, invece, di situazioni oggettive, è sempre valido, al di là dell’età, il contratto intermittente stipulato per una delle attività elencate nel Regio Decreto 2657/1923 (lavoro discontinuo o di semplice attesa e custodia); il contratto può essere attivato anche qualora la contrattazione collettiva, sia essa nazionale o di secondo livello, abbia disciplinato le esigenze del datore di lavoro e le modalità di utilizzo, tra cui ad esempio i periodi prestabiliti.
Il ruolo della contrattazione collettiva
La Cassazione con la sentenza n.29423 del 2019, ha stabilito che i contratti collettivi nazionali non possono mai vietare il ricorso al contratto intermittente, ma possono solo indicare le esigenze del datore di lavoro che ne giustifichino il ricorso e le modalità del suo utilizzo.
Tuttavia, nella maggior parte dei contratti collettivi nazionali non c’è alcun intervento specifico sull’utilizzo dei contratti a chiamata e questo può rappresentare una criticità specialmente in quei settori già di loro interessati da fenomeni di estrema flessibilità e che per questo si prestano ad una forte precarizzazione.
Il lavoro a chiamata: il caso del Settore Turismo.
Il Turismo è uno di quei settori, insieme ai Pubblici Esercizi ed allo Spettacolo, dove non esiste il limite temporale delle 400 giornate per i contratti intermittenti a tempo determinato; a questo va aggiunto che gran parte delle mansioni indicate nella contrattazione collettiva rientrano nel R.d. del 1923, quindi si possono stipulare contratti ad intermittenza anche senza tener conto dell’età del lavoratore. I dati ISTAT riportano che nel primo trimestre del 2022, i contratti a chiamata nel settore degli alberghi e dei ristoranti ha avuto un incremento di oltre il 168%, dove le posizioni intermittenti rappresentano circa il 10% sul totale dell’occupazione nel settore. Simili ai dati nazionali sono anche quelli di alcune grandi regioni, come ad esempio il Lazio, dove nel 2021 i contratti intermittenti hanno rappresentato circa il 6,35% del totale (Banca dati Progetto Excelsior).
Il lavoro intermittente nel settore Turismo: flessibilità buona o precarietà garantita?
Date le sue peculiarità legate a dei flussi di lavoro discontinui, il settore prevede il ricorso anche a strumenti quali il lavoro extra e la stagionalità. È indubbio che, se da un lato ci sono lavoratori del settore (ad esempio studenti che lavorano nei mesi estivi) a proprio agio con questa tipologia di lavoro la quale, se inserita nella cornice di una continuità lavorativa, seppur intermittente, può rappresentare un esempio di flessibilità “buona” ed autentica, dall’altro sempre più persone si trovano costrette ad accettare questo tipo di contratto, anche a tempo indeterminato.
Il rischio è che molte aziende scelgano di ricorrere sempre più spesso a questo tipo di contratto per avere a disposizione personale anche con scarso preavviso, al posto di altre tipologie contrattuali che garantiscono maggiori tutele e condizioni più sicure e prevedibili per i lavoratori. Ne conseguirebbe (ed i dati sembrano andare in quella direzione), un aumento esponenziale della precarizzazione specialmente dei lavoratori più giovani che, sia per motivi soggettivi (l’età), che per il tipo di professionalità, sono quelli più interessati da questo tipo di contratto.
In questa prospettiva, la contrattazione collettiva, non solo di settore ma anche integrativa, assume un ruolo rilevante per indicare gli strumenti utili a limitare tali rischi.
Priscilla Binda
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