Centrale del latte di Roma, subito tavolo con Parmalat e Comune per salvare futuro dei lavoratori
24.05.2022
Con la sentenza della Corte di Appello di Roma, la Centrale del Latte torna in mano al Comune. Dopo ben 23 anni di controversie, il Tribunale ha respinto il ricorso di Parmalat, oggi detenuta dal gruppo francese Lactalis, obbligandola alla restituzione del 75% delle azioni e a tutta la parte di dividendi distribuiti dal 2005 al 2012 pari a 41 milioni di euro.
Un colpo di scena che fa presagire un futuro incerto per un importantissimo marchio locale, distintivo della produzione di qualità del latte fresco della Capitale e che dà lavoro a circa 160 dipendenti nello stabilimento di via Fondi di Monastero oltre a migliaia di persone dell’intero indotto, la cui storia è stata segnata da una guerra nei tribunali. Come più volte auspicato dalle Parti sociali, sarebbero state più opportune soluzioni extragiudiziali.
Secondo le sigle sindacali di categoria, Fai, Flai e Uil, si aprono scenari preoccupanti per il futuro delle lavoratrici e dei lavoratori di Centrale del Latte di Roma, per l’intera filiera del latte e l’economia del territorio. Per questo è stato chiesto un incontro urgente al gruppo Lactalis e al Comune di Roma.
L’intento dei rappresentanti dei lavoratori è quello di raggiungere un accordo transattivo tra Comune di Roma e Parmalat, salvaguardando così il sito produttivo, un marchio storico dell’agroalimentare romano e tutelando l’occupazione diretta e indiretta. Con un’intesa, inoltre, si scongiurerebbero eventuali speculazioni.
La storia.
Il contenzioso tra la Parmalat e il comune di Roma ha origine nel 1996, quando la giunta capitolina deliberò la privatizzazione dell’Azienda Comunale Centrale del Latte, pubblicando un avviso di manifestazione d’interesse che vincolava l’eventuale acquirente a non cedere le azioni entro i successivi cinque anni. Risposero cinque aziende, tra le quali Ariete Fattoria Latte Sano, Parmalat e Cirio che ebbe la meglio e acquisì il 75% della partecipazione azionaria nella neocostituita Centrale del Latte per 80 miliardi di vecchie lire.
Quando, in seguito, la Cirio di Sergio Cragnotti conferì quella partecipazione nella Eurolat, che venne poi venduta nel febbraio del 1999 alla società Dalmata Due, controllata dalla Parmalat di Callisto Tanzi, ebbe inizio la battaglia in Tribunale, in quanto il vincolo posto dal Campidoglio sulla cessione delle azioni risultava per il ricorrente violato. Nel luglio del 1999 il Comune di Roma tentò, senza riuscirvi, di risolvere la questione stipulando una transazione assieme a Cirio, Eurolat e Parmalat e l’anno seguente una delle società escluse dalla gara e dall’atto transattivo, la Ariete Fattorie Latte Sano, come si legge nella sentenza pubblicata lo scorso 13 aprile: “Dopo aver inutilmente diffidato Roma Capitale ad attivarsi in autotutela per sanare effettivamente la violazione del divieto di vendita infra quinquennale della partecipazione, adiva il giudice amministrativo”.
Il 27 luglio del 2007 il Tar del Lazio ha poi stabilito sia la nullità della gara del 1998 che della transazione successiva del 1999, accogliendo in questo modo il ricorso di Ariete Fattorie Latte Sano. La sentenza è stata poi confermata anche in appello dal Consiglio di Stato e sempre il Consiglio di Stato nel 2012, sulla scorta di un giudizio di ottemperanza proposto dalla società esclusa sulle precedenti sentenze emesse dai giudici amministrativi, ha ribadito a Parmalat di restituire al Comune il suo 75% di azioni. A quel punto, per cercare di fermare gli effetti delle sentenze amministrative, arriva il ricorso civile. La sentenza di primo grado fu pronunciata il 18 aprile 2013 quando, secondo il Tribunale di Roma, la sottoscrizione da parte di Parmalat dell’atto transattivo risultava in contrasto con il principio della buona fede del terzo acquirente e di conseguenza l’unico proprietario del 75% del capitale sociale di Centrale del Latte tornava a essere il Comune e Parmalat viene quindi condannata alla restituzione immediata delle azioni. Il ricorso presentato dalla società, rigettato dalla prima sezione civile della Corte d’appello lo scorso 13 aprile, conferma così la restituzione delle quote a Roma Capitale e condanna l’azienda a restituire tutti i dividendi distribuiti dal 2005 al 2012 per un ammontare di 41 milioni di euro.
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