Il futuro del Progresso: Note al libro di Aldo Schiavone

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07.04.2022

L’idea di progresso, intesa nella sua accezione più piena, appare da molti anni in sofferenza. Crisi economiche e climatiche, la precarietà che caratterizza sempre più il quotidiano delle persone, la pandemia ed ora anche la guerra in Europa, sono certamente motivi che possono portare almeno ad una certa disillusione. Senza contare che sull’idea stessa di cosa sia realmente il progresso, si potrebbe aprire un dibattito politico complesso, fatto di posizioni ideali tanto diverse quanto anche contrastanti.

Del cosa sia il progresso, se in effetti esista realmente nella storia dell’umanità, del suo sviluppo nelle varie ere succedutesi, della tracciabilità di una sua vera o presunta direzione ci parla lo storico Aldo Schiavone, che ne traccia un ritratto utile per comprenderne la parabola, ma anche per rimettere in fila concetti e rielaborare prospettive. La storia è probabilmente la migliore delle discipline per trarne anche un possibile bilancio e questo libro (Progresso, per i tipi de Il Mulino) risulta un’utile mappa, forse non esaustiva ed in alcuni punti contestabile, ma comunque in grado di aiutare una riflessione fuori gli schemi che spesso la contingenza, indotta dal “presentismo”, rende troppo lineari, delle volte banali e non di rado con sfumature pessimistico-catastrofiche.

Dal Rinascimento in poi, si è radicata l’idea secondo la quale l’opera dell’uomo fosse in grado di creare sempre le basi per un mutamento costante verso condizioni migliori di vita. In questo movimento in avanti dell’umanità, non progredivano solo le competenze tecniche ma anche le capacità di discernimento e del giudizio morale dell’essere umano. Era chiara l’enfasi verso l’esistenza di una presunta direzione, di un vettore, della modernità a cui l’uomo si affacciava. Tra passato e avvenire si instaurava un rapporto basato su un ottimismo di fondo, che diventava il senso comune di un’epoca.

L’Ottocento è il grande secolo dell’idea di progresso, tanto che qualcuno associava questo concetto all’idea stessa di civiltà (Guizot). Anche il Positivismo, come pure il primo pensiero socialista sorto in Francia, diede un notevole contributo al successo di questa idea. Ovunque in Europa, con le grandi rivoluzioni nel campo della tecnica, dell’economia della politica esisteva una «visione condivisa che faceva del progresso il motore della storia». La cultura europea ne enfatizzava un tratto particolare, secondo cui ne rilevava una connotazione che dal campo storico e letterario ne spostava il centro verso quello tecnico e scientifico, diventando il progresso la corsa in avanti nella conoscenza della natura e nelle acquisizioni tecnologiche.

Non mancavano voci fuori dal coro e tra esse brevemente bisogna ricordare Leopardi, Nietzsche, Kierkegaard, Schopenhauer nonché il reazionario J. De Maistre, come anche le posizioni cattolico conservatrici di Pio IX.

Il Novecento avrebbe ancor di più accentuato la sovrapposizione dell’idea di progresso con quella dello sviluppo tecnico-scientifico, almeno fino a quando la barbarie di due guerre mondiali e lo sterminio di un popolo avrebbero incrinato la certezza che quel vettore, la cui freccia va sempre verso l’alto, esistesse per davvero.

Secondo Schiavone, la storia presenta degli sfasamenti tra la velocità di avanzamento della tecnica e l’incapacità dell’uomo di adattarsi a questo cambiamento impetuoso e travolgente. Ed è qui che si innestano spesso anche le tragedie, in quanto agli sviluppi della scienza, con funzioni trasformatrici della realtà del singolo uomo, corrisponde un «ritardo di progettualità sociale, di governo e politica» necessarie a far procedere l’incedere della storia in maniera non (troppo) conflittuale. Ma visti nella prospettiva di lungo periodo, l’A. afferma essere plausibile collegare i fatti storici in un senso sempre progressivo, soprattutto per quanto riguarda il controllo rispetto all’ambiente e le conseguenti capacità cognitive necessarie al fine di non dover subire una dipendenza dalla natura totale e inconsapevole.

«Il rapporto fra intelligenza della specie e conformazione della natura […] è una relazione intrinsecamente progressiva, che si dispone, cioè, secondo una direzione». Ma questo, per Schiavone, non è certo sufficiente a dimostrare la direzione del progresso, perché la nostra vita non è solo tecnica ma anche economia, morale religione.

Di certo uno degli aspetti più interessanti e imprevedibili della storia umana è lo sviluppo di una «mente autocosciente»: la forma mentale dell’umano è capace di duttilità e di attitudine trasformativa, tesa a modificare il mondo esterno «nell’atto stesso di conoscerlo», sgomberando così il campo da ogni discorso metafisico e secondo schemi deterministici rispetto allo sviluppo umano. Per arrivare al punto in cui ciò che è «naturalmente divenuto» e ciò che è «tecnicamente prodotto» diventa oggi sempre più complesso distinguere, tanto da rendere obbligatorio un «nuovo paradigma di pensiero adeguato alla realtà». La conseguenza a questo mancato nuovo equilibrio è il rischio di portare il mondo fuori asse sia sotto il profilo politico-sociale che ambientale.

Le società antiche erano povere tecnologicamente ma comunque in “equilibrio” secondo una gerarchia rigidissima di ruoli e funzioni, con una prevalenza del fattore “immateriale”, quanto naturale, rispetto alla realtà produttiva, tanto che Aristotele affermava che la natura era il fine. Senza l’innalzamento del livello tecnologico da cui, per esempio, è nato il telaio a vapore e la rivoluzione industriale, non sarebbe stato possibile disarticolare un mondo rigido, per crearne un altro capace di reggere il peso di una società più complessa, «tanto più fluida e flessibile da non aver bisogno di gerarchie e ruoli predeterminati attraverso la coazione». Difficile immaginare oggi gli scritti di Rawls senza la grande fabbrica e l’organizzazione capitalistica del lavoro. È così che sono cambiati i limiti d’orizzonte delle possibilità umane, creando «le condizioni perché il pensiero possa liberarsi».

Non è stato, però, il salto tecnologico a trasformarsi in quanto tale in giudizio etico. Il solo dedurlo significa accettare un determinismo del tutto ingiustificato. Il cambiamento morale sopravvenuto rientra nella storia della cultura umanistica dell’etica e non della tecnica.

Il progresso tecnico dà potenza e possibilità per una maggiore liberazione dell’uomo dai patimenti e dai bisogni. Apre nuovi spazi che, però, si possono riempire in modo diverso, e non per questo sempre positivo. La scelta su quale via prendere non è certo casuale, perché per una torsione veramente progressiva della storia, risulta determinante la capacità diffusa (sociale, politica, istituzionale, morale) di gestire la potenza acquisita. La quale deve tendere «all’integrità dell’umano come valore assoluto» e «nella presa d’atto dell’uguaglianza di tutto l’umano pur nella sua infinita diversità».

Quindi, secondo l’Autore, il verso del cammino della storia scorre comunque verso un’unica direzione. Questa è indicata dalla tendenza a raggiungere «da parte sempre maggiore della totalità dell’umano, il rapporto più alto possibile fra la potenza tecnica disponibile e il riconoscimento e la valorizzazione della propria esistenza».

Ovviamente, a chiosa non banale di questo ragionamento, Schiavone mette in rilievo la necessità di un orizzonte politico a cui bisogna riferirsi, perché il progresso non è un «riflesso condizionato», ma –  aggiungiamo noi – tuttalpiù una riflessione che ne condiziona la direzione, senza accettare mai “razionalità imposte”, ma allo stesso tempo non fuggendo dalla realtà di fatto.

Di Raffaele Tedesco

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