DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE E SMARTWORKING

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05.08.2021

Il lavoro, sempre in più contesti, sta perdendo la propria connotazione fisica. Così, allo stesso modo, la sfera lavorativa che, nella sua remotizzazione, è entrata quasi inconsciamente nella vita privata dei lavoratori. Questo ha significato per tanti perdere di vista la corretta scansione temporale del proprio impegno lavorativo, fino al punto da non riuscire più a distinguerla dal proprio tempo personale.

Il fenomeno è stato ovviamente agevolato dall’insita disponibilità e reperibilità immediata che offrono i device a portata di mano dei lavoratori.

In sostanza, lo smart working quale prima misura di contenimento della pandemia ha creato e legittimato le condizioni affinché il lavoro divenisse una merce da concretizzarsi appena il datore di lavoro ne facesse richiesta. E tutto questo si è tradotto in un importante incremento della disponibilità oraria che è andato ben al di fuori della normale routine quotidiana prestata in sede e ha delegittimato ogni pretesa di lavoro straordinario, maggiorazioni per i giorni festivi e per le prestazioni notturne, permessi compensativi e così via. Come se chi lavorasse al di fuori dei confini della sede di lavoro non lo facesse più con lo stesso impegno di quando era in ufficio.

Lo smart working non è certo uno strumento per abbassare il costo del lavoro reso e per superare ogni perimetro previsto dai contratti.

Se qualcuno lo ha inquadrato come un mezzo per ridurre la sfera dei diritti normativi e salariali dei dipendenti, ricordiamogli che lo smart working è una delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa al pari di quella in presenza e quindi con gli stessi diritti e doveri. Semmai, tutt’al contrario, è una delle possibili strade per conciliare i tempi vita/lavoro.

Recentemente lo ha puntualizzato anche il legislatore: “è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.

Ecco, quindi, che il diritto alla disconnessione, i tempi di riposo, le fasce di contattabilità, le modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro non possono che rappresentare il nostro terreno di confronto e, soprattutto, di negoziazione da qui ai prossimi anni.

Dobbiamo farlo per non ceder spazio sui diritti conquistati e riconosciuti e, anzi, acquisirne di nuovi. Abbiamo già tanti contratti, pubblici e privati, che hanno inquadrato e disciplinato gli istituti economici e normativi più impattati dal passaggio dall’attività sul luogo di lavoro allo smart working. Da queste esperienze bisogna trarre le migliori pratiche per assicurare anche a chi lavora da casa gli stessi diritti.

E il diritto alla disconnessione rappresenta uno dei punti fermi da cui partire, anche perché attiene a profili strettamente legati alla sicurezza. Il lavoro agile, in caso purtroppo di abusi datoriali, presta ovviamente il fianco a fenomeni di stress lavoro correlato, quella percezione che ha il lavoratore quando le richieste eccedono le proprie capacità. Di conseguenza, non possiamo dimenticarci dell’importanza di individuare i rischi e le correlate misure di prevenzione a tutela del benessere del lavoratore ed una di queste non può che essere il riconoscimento e il rispetto del diritto alla disconnessione.

Gli effetti della trasformazione organizzativa e dell’innovazione digitale devono passare per il ruolo della regolamentazione sui contratti collettivi nazionali e decentrati. Ecco dove il ruolo del sindacato diventa centrale. Siamo pronti!

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